Bambini e Squid Game: è davvero allarme rosso?

SquidGame e bambini allarme psicologia

Il 17 settembre 2021, qualche giorno dopo l’inizio dell’anno scolastico, è uscita sulla piattaforma di Netflix una serie sudcoreana che in poco tempo ha seminato grande preoccupazione nelle scuole d’Italia. Stiamo parlando della famosa serie “Squid Game o “Gioco del Calamaro” che in poco tempo ha spinto genitori, docenti e presidi a lanciare una petizione per la cancellazione della serie in seguito alla diffusione di comportamenti violenti nei bambini delle scuole elementari che sembrano proprio imitare i giochi mortali della serie.

È veramente la serie il problema?

Ovviamente la serie non sarà cancellata, sia per la posta economica in ballo, sia perché la serie già dall’inizio non doveva essere visualizzata dai bambini di quell’età. infatti, sulla piattaforma la serie risulta vietata ai bambini sotto i 14 anni. Questo dettaglio suggerisce come i genitori in primis, sottovalutino i potenziali rischi di un accesso incontrollato al web e come, in secondo luogo, ignorino un meccanismo di apprendimento infantile ben noto non solo in pedagogia: l’imitazione.

Come ci dimostra la Teoria di Jean Piaget sui quattro stadi dello sviluppo cognitivo, l’imitazione si sviluppa già a partire dal secondo anno di età, all’inizio della fase pre-operatoria, quando il bambino comincia a padroneggiare il pensiero simbolico, ossia una capacità di pensiero basata sull’imitazione e riproduzione di azioni. Tale fenomeno è visibile quotidianamente, basti pensare a dei bambini che giocano al parco e che utilizzano semplici legnetti come fossero spade mentre giocano a “fare la guerra”.

Nel 1961 Albert Bandura condusse l’esperimento della Bambola Bobo dimostrando come il comportamento aggressivo dei bambini possa essere appreso tramite l’imitazione. I bambini che osservarono l’adulto picchiare il pupazzo manifestarono più comportamenti aggressivi verso la bambola Bobo quando fu il loro turno di interagire con lei. L’esperimento sembrerebbe indicare come i bambini si comportino “male” non perché siano dei bambini indisciplinati o cattivi ma perché loro apprendono così, basandosi sui comportamenti che vedono mettere in atto dagli altri.

Inoltre, non bisogna dimenticare un fatto cruciale, ossia che l’adulto e i suoi comportamenti sono intrepretati dal bambino come veri e propri modelli da seguire, tale fenomeno viene indicato con il nome di “role modeling” (Bricheno & Thornton, 2007). Questo avviene perché i bambini ritengono il comportamento degli adulti come il più adeguato in determinate situazioni.

Ovviamente non bisogna pensare che i bambini siano gli unici a farsi influenzare, tutti noi, a prescindere dall’età, se esposti costantemente a comportamenti violenti tendiamo a ridurre la nostra sensibilità ad essi, come se la nostra indignazione di fronte a tele fenomeno diminuisse. Questo accade perché la salienza della violenza sbiadisce, facendoci abituare ad essa. Un esempio? Basti pensare alla graduale abituazione alla discriminazione degli ebrei durante il nazismo.

Morale della favola: fate attenzione a ciò che guardano i vostri figli

Il fatto che i bambini imitino giochi violenti non li rende dei piccoli teppistelli irrecuperabili, però una mancata attenzione alla navigazione in rete dei propri figli potrebbe portare a delle conseguenze non gradite. Ovviamente qualche svista può capitare a tutti, ma il più delle volte ci ritroviamo faccia a faccia con una mancata consapevolezza digitale. Sarà importante per i genitori trovare il modo di far abituare gradualmente i figli ad avventurarsi all’interno del mondo digitale che, solo perché virtuale, non è meno pericoloso di quello reale.

Articolo scritto da: Martina Barbieri e Mirko Duradoni.

Bibliografia:

Artino Jr, A. R. (2007). Bandura, Ross, and Ross: Observational Learning and the Bobo Doll. Online submission.

Bricheno, P., & Thornton, M. (2007). Role model, hero or champion? Children’s views concerning role models. Educational research, 49(4), 383-396.

Camaioni, L., Di Blasio, P. (2007). Psicologia dello sviluppo, 96-99.

Mirko Duradoni
Docente di "Psicologia dei Gruppi e delle Relazioni Sociali" e membro del Virtual Human Dynamics Laboratory (VirtHuLab), presso l'Università degli Studi di Firenze.

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