“Sarah. La ragazza di Avetrana”: l’intervista a Christian Letruria regista della docu-serie

Sarah la ragazza di Avetrana intervista al regista

Sarah. La ragazza di Avetrana è una docu-serie Sky Original prodotta da Groenlandia e tratta dall’omonimo libro scritto da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni.

La serie, composta da quattro puntate, ricostruisce tutta la popolare vicenda dell’omicidio di Sarah Scazzi non solo dal punto di vista processuale ma anche mediatico, concentrandosi sulla morbosità con cui i giornalisti si sono tuffati sui protagonisti della storia e sul voyerismo degli spettatori.

La storia di Sarah Scazzi

La storia del delitto di Avetrana comincia il 26 agosto 2010 con la scomparsa di una ragazzina di quindici anni, che sparisce in un caldo pomeriggio d’estate nel paesino in provincia di Taranto, in Puglia. La scomparsa diventa omicidio quando, sotto la pressione degli inquirenti nel corso di un interrogatorio, zio Michele confessa di sapere cosa è accaduto a Sarah. Michele Misseri avrebbe abusato della nipote e poi l’avrebbe uccisa.

Il 15 ottobre 2010 Sabrina Misseri, figlia di Michele, viene sottoposta a fermo per concorso in omicidio con il padre. La ragazza viene portata via dai carabinieri dopo la perquisizione dei Ris di Taranto nel garage dell’abitazione dove l’agricoltore aveva dichiarato di aver ucciso la nipote. Il movente sarebbe quello della gelosia: Sabrina e Sarah sarebbero innamorate dello stesso ragazzo: Ivano.

Secondo il Gip di Taranto, Martino Rosati, Sabrina avrebbe ucciso Sarah davanti alla madre Cosima Serrano, nel garage di casa, e poi le due avrebbero aiutato Michele a caricare in macchina il cadavere. Il solo Misseri avrebbe poi trasportato il corpo di Sarah in contrada Mosca dove lo avrebbe gettato in un pozzo. Anche Cosima finisce in carcere.

Secondo la verità processuale ad uccidere Sarah Scazzi nel 2010 sono state Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all’ergastolo per omicidio volontario. Lo zio Michele Misseri è condannato a otto anni per occultamento di cadavere e inquinamento delle prove relative al delitto.

Il documentario

Sarah. La ragazza di Avetrana cerca di spiegare come questo caso giudiziario abbia monopolizzato l’attenzione mediatica creando un vero e proprio circo a causa del quale la ricerca della verità è passata in secondo piano a favore degli aspetti più morbosi.

Tutte le persone coinvolte sono diventate all’epoca personaggi televisivi. Ma anche i passanti, gli abitanti, i vicini di casa e tutta la comunità avetranese divennero protagonisti dello show.

Il punto topico è stato raggiunto quando in diretta tv Concetta Serrano, madre di Sarah, venne a sapere che Michele Misseri aveva fatto ritrovare il corpo senza vita della ragazza.

Scritto da Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni, Matteo Billi e Christian Letruria, per la regia di Christian Letruria, Sarah. La ragazza di Avetrana è una riflessione su un caso che, a distanza di undici anni, lascia dietro di sé ancora molti interrogativi tanto che Franco Coppi, avvocato di Sabrina Misseri, condannata all’ergastolo insieme a Cosima, ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. 

Abbiamo incontrato Christian Letruria, autore e regista del documentario, per approfondire l’argomento.

L’Intervista

1Il documentario è tratto da un libro. Che differenze ci sono tra i due “prodotti”?

Il documentario non segue linearmente l’andamento narrativo del libro anche se i due autori del libro Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni hanno lavorato con noi alla scrittura del documentario. Siamo ripartiti da zero cercando dei punti di vista diversi, quello che ne viene fuori è un racconto che dà spazio a tutte le tesi sul caso e che vuole fornire al pubblico un quadro completo per rifarsi un giudizio su questa triste storia.

2Il racconto è portato avanti grazie alle interviste ad avvocati, inquirenti, giornalisti, protagonisti della vicenda. Chi ti ha colpito di più e perché?

Sicuramente Claudio e Concetta (fratello e madre della vittima ndr). Loro hanno stupito me e tutti gli autori in quanto li abbiamo ritrovati molto diversi rispetto all’immagine che avevamo in base al girato di repertorio che abbiamo visionato.

Noi abbiamo visto e studiato tutto lo scibile televisivo prodotto. La madre di Sarah nelle riprese del 2010 appariva come una statua di sale lontana dall’esprimere sia l’affetto che qualsiasi sentimento umano rispetto a quanto accaduto.

L’abbiamo ritrovata con lo stesso tipo di atteggiamento e di impostazione ma abbiamo capito le ragioni che la spingono ad essere così: la fede religiosa della mamma di Sara la spinge a credere che sua figlia ritornerà sulla Terra. Partendo da questo presupposto, analizzare il dolore è diverso. E questo ci ha stupito.

Così come ci ha meravigliati Claudio. Abbiamo scoperto una persona arguta e prossima alla Laurea in Ingegneria, mentre nel repertorio era rappresentato sommariamente; certi servizi televisivi ne davano un ritratto troppo unidimensionale.

3In effetti la spiegazione della componente religiosa è inedita e questo è un vostro grande merito. Come hai vissuto il dolore di Concetta durante le riprese?

Secondo me Concetta ha il dolore scritto nel volto.

Tutti si aspettavano una reazione violenta da lei. Ma quando sei in televisione tutto il giorno avendo per 42 giorni i giornalisti sotto casa, quando gli stessi giornalisti ti hanno fatto le stesse identiche domande milioni di volte, quando ti hanno detto che poteva essere morta e l’hanno narrata in tutti i modi possibili devi trovare un modo per difenderti.

Lei ha trovato il suo modo per difendersi. I testimoni di Geova in generale sono una comunità abituata ad essere discriminata. La storia della sua intera vita quindi è una storia di difesa.

4
Quello che arriva e spaventa è la pornografia del dolore. Quanto è stato difficile dover raccontare il voyeurismo senza rischiare di essere a vostra volta voyeur?

Non è stato per nulla semplice tanto che quando mi è stato proposto il documentario non lo volevo fare. Ero molto titubante in quanto di questa storia di cronaca nera in televisione hanno parlato tutti. I giornalisti cercavano degli archetipi da raccontare fin quando non c’era più nulla da dire ma dovevi andare comunque in onda.

Ad Avetrana si girava una soap opera a basso costo. Ad esempio in un servizio, non inserito nel documentario, il protagonista era un cane di Avetrana. La padrona raccontava che il suo cane era triste perché non vedeva più passare per le vie Sarah. Il servizio terminava con la frase “Forse il cane ha visto qualcosa?!”.

Poi ho letto il libro e ho pensato che avrei potuto fare un documentario di cronaca bianca: raccontare la collettività pugliese e lo stesso trattamento del racconto da parte dei media.

La docu-serie è un prodotto diverso dai documentari di nera. La lavorazione è stata portata avanti come se fosse stato un film a tutti gli effetti. Abbiamo collaborato con l’Apulia Film Commision e abbiamo girato con una troupe cinematografica.

Abbiamo girato la ricostruzione per ventuno giorni, mentre le interviste le abbiamo portate a casa in un mese e mezzo circa. Calcolate ventotto interviste ciascuna delle quali della durata di quattro ore. Il documentario è stato poi montato nel tempo record di due mesi e mezzo.

5
Il documentario è caratterizzato dalla lentezza del racconto. Questo elemento è dissonante rispetto alla vicenda. La velocità con cui girano le informazioni (la mamma di Sarah Scazzi viene a sapere che il possibile assassino può esser stato suo cognato in diretta a Chi l’ha visto), la schizofrenia del circo mediatico e delle ricerche della polizia in una terra che per eccellenza ha un ritmo di vita molto lento. È una scelta narrativa voluta e perché?

Sì è tutto voluto e mi fa piacere sentire questa riflessione. Durante i sopralluoghi mi è venuta voglia di ridare dignità ad una terra che non è stata neanche raccontata.

Al tempo non esistevano neanche le riprese dall’alto. Quando si racconta la cronaca con la camera a mano, ad altezza uomo, si rischia di raccontare solo un muro, un asfalto e Avetrana sembrava un posto agghiacciante.

In realtà è un paese bellissimo vicinissimo al mare. I media nel 2010 raccontavano gli avetranesi come brutti abitanti di un brutto paese. Questa visione dei fatti mi ha molto infastidito: quelle famiglie non sono ignoranti ma sono ricche di valori che derivano da una vita fatta di sofferenze. Era necessario ridare dignità alla vita contadina quindi era fondamentale per me riprendere la bellezza della Puglia con lentezza. Avete centrato esattamente il punto di vista.

a cura di Valeria de Bari e Francesca Sorge

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