Road To Tenerife: il siberiano che vive in una grotta

Bilancio della settimana.

Un susseguirsi di esperienze assurde e situazioni grottesche si è alternato nell’arco di questi primi dieci giorni a Tenerife, passando dal tranquillo tramonto sulla spiaggia alle notti di Las Veronicas, praticamente quello che più si avvicina al paese dei Balocchi.
Risolto il problema lavoro, il resto è stata tutta una strada in discesa. Ho avuto la fortuna di conoscere persone disponibili, gentili, e soprattutto che hanno avuto l’idea di portarmi dopo tre giorni a bere, il classico modo di conoscersi e rompere il ghiaccio, anzi il migliore.
Quella è stata davvero una serata strana, dico strana nel senso buono della parola, perché si è trattato di uno di quei momenti della vita che nell’istante esatto in cui li stai vivendo, pensi “ma io qui come diamine ci sono finita?”, per poi accorgersi che non te ne frega assolutamente niente, e riderci su.
Questo più o meno è il riassunto del mio stato d’animo, nel momento in cui mi sono ritrovata seduta in una macchina con una collega canaria, un’ecuadoriana, ed un venezuelano, musica reggaeton rigorosamente a palla, sull’autostrada alle undici di sera diretti ad un autogrill (che qui chiamano gasolinera) per mangiare un panino. Giuro che dieci giorni fa all’aeroporto di Roma Fiumicino era l’ultima cosa a cui avrei mai pensato. Innanzitutto ho scoperto che qui la gente ha come abitudine quella di cenare all’autogrill, come se a noi potesse venire in mente di uscire per cena sul raccordo anulare, comunque devo dire che è stato divertente, buono e le risate non sono mancate.
Dalla cena alla gasolinera sono passata il giorno dopo per le strade de Las Veronicas, un posto che qui ha la fama di essere frequentato da inglesi ubriachi, disco-pub stracolmi di turisti che già dal tardo pomeriggio si perdono tra i fumi dell’alcol dando spettacolo probabilmente di alcune delle migliori performance della loro vita. Ne ho viste di tutte, dalla trentenne che compiva capriole in mezzo alla strada, al ragazzo magrolino con gli occhiali che dimenticato il computer e con in mano un gin lemon chiede alle ragazze che passano in ginocchio di sposarlo, molto romantico.
La serata è lunga e prosegue all’Achaman, una delle discoteche più famose di Tenerife Sur. Bachata, salsa, merengue, reggaeton, qui si trovano decisamente più spagnoli, la notte è afosa, ansimante, il sangue caliente tipico dei latini si sfoga lasciandosi andare ancheggiando ed ondeggiando al ritmo di una musica che pompa incontenibile il sangue nelle vene come se avesse lo stesso ritmo del battito del cuore. Si balla tutta la notte all’Achaman, per questo il dj urla instancabilmente “la noche nos pertenece”.

Finalmente arriva domenica, per me giornata di riposo, ho quindi l’imbarazzo della scelta. La cosa migliore è prendere una bicicletta, preparare lo zaino, occhiali da sole, sì ci sono, e via. Non avendo una meta precisa mi sono goduta felicemente il panorama, distese di palme a vista d’occhio, innumerevoli, in fila ordinate come tanti soldatini, il sole rovente che non perdona (la questione ustioni di terzo grado per adesso si può rimandare), spiagge brillanti come biglie.

Da Las Americas mi dirigo lungo Costa Adeje, una delle zone più lussuose dell’isola, ville ed hotel a cinque stelle si arrampicano lungo il mare, aprendosi a panorami mozzafiato, l’oceano immenso con le sue sfumature che si spengono all’orizzonte, l’aria di sale. All’improvviso mi accorgo di una caletta persa tra la costa, che sa tanto di paradiso, e lasciata la bicicletta decido di proseguire a piedi arrampicandomi lungo le colate laviche che migliaia di anni fa sono venute qui a morire tra le onde.

Ed è qui, mentre alla maniera romantica mi ero persa a contemplare il mare, che incontro Alexander. Ora si potrebbe perdere un giorno a spiegare chi sia questo Alexander, ma mi limiterò a riassumere che si tratta di un settantenne russo che vive da anni in una piccola grotta scavata dall’infinita erosione delle onde su questi scogli gialli. Quest’uomo giunto a Tenerife dalla Siberia per circostanze che tuttora mi rimangono sconosciute ha l’aria del classico vecchino seduto su una panchina in attesa di due chiacchiere, infatti è bastata una parola gentile per ritrovarmi sul suo divano, se così si può chiamare, a sfogliare nostalgicamente album di famiglia. Un uomo che vive di niente e con niente, che bacia il santino della Vergine sempre in mano, la pelle arsa dal sole e gli occhi cristallini della tundra siberiana, chissà come è finito su questo scoglio, chissà, ma sembrava felice.
Il ritorno verso l’hotel è stato pensieroso, e l’immagine di Alexander mi ha accompagnato per qualche giorno, sicuramente tornerò a trovarlo. Per adesso lo conservo con questa foto dove si è messo in posa orgogliosamente per me, dietro la terra e davanti il mare, così che chi legga la sua storia sappia che a questo mondo ancora esistono i romantici.

Stay Tuned!


Martina Patrizi

23 anni, laureata in letteratura e linguistica italiana all'università degli studi di Roma Tre. Amante dell'arte e della vita, mi tuffo sempre alla ricerca della bellezza e di una nuova avventura. La mia frase è "prima di essere schiuma, saremo indomabili onde".

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