Le piace Brahms? Ricordando il celebre titolo della pellicola che vede Ingrid Bergman e Antony Perkins in una liason di stampo “filiale”, l’interrogativo posto non è affatto di natura retorica.
Difatti Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897), compositore tedesco dell’alveo tardo-romantico, suscita pareri contrastanti riguardo alla sua espressione stilistica.
Tacciato di scolasticismo, accademismo, scarsità di originalità, coperto da una patina di “anomia emotiva”, il musicista si avventa sulla scena europea con le sue sinfonie.
Abbraccia il secondo romanticismo, privato dell’impulso e del vigore originario, più pacato e tendente a un registro più decadente, sebbene egli esuli dalle “flourescenze visionarie” di alcuni artisti della fin de siècle.
Il suo focus è la purezza, un’artigianalità del suono, una semplificazione compositiva che ridonda, ma al medesimo tempo rassicura l’uditore, cullandolo in una malinconia, leggera. Brahms non sprofonda nella disperazione che esalta l’eroe romantico, ma sottace.
Egli non suggella la grandiosità dell’animo romantico, e il suo sentirsi incompreso, ma mostra un registro emotivo, di basso profilo, esente dalla tensione.
La musica ha una certa staticità, non protende, non trascende, ma resta, serba. La sete dell’Io verso l’infinito, il desiderio, il tormento, non sono contemplati nella partitura. Egli schiva la perenne dannazione insita nello spirito romantico. La quiete, l’armonia, una serena rassegnazione pervadono la sua opera.
Il suo imprinting di contadino della Germania del Nord e il suo seguente imborghesimento lo ancorano a dei limiti intellettuali, frenando possibili slanci emotivi. Armonie accoglienti, linee melodiche morbide, passaggi colmi di autenticità.
La musica con Brahms si chiude in una roccaforte signorile, s’imborghesisce, ma senza arroccarsi in una certa materialità.
Vi è una ricerca dell’originalità, nel senso etimologico, che la renda vera, coerente e la elevi a una sorta di “canto elegiaco”.
L’estremo perfezionismo condanna i suoi spartiti a una prosopopea stilistica che, seppur convincente, ridonda in ricchezza e enfasi. Un prodotto dotto che accoglie l’ensemble strumentale wagneriano, ma rifugge il suo “avvenirismo”.
Brahms asseconda la corrente idealista dell’epilogo romantico in consonanza con l’assetto culturale del momento storico, virando verso una modernità dei contenuti, seppure temperata. Lontano dai virtuosismi e innovazioni di uno Stravinskij che pone netto il distacco con il lirismo, il compositore tedesco revisiona il comparto tradizionale di ballate e danze folcloristiche, ungheresi e viennesi, con un ritmo diverso dal consono magiaro.
La produzione corale ha in sé il germoglio di un nuovo modo di concepire la musica. Rispetta il passato, ma inserisce qualche venatura di modernità nell’espressione tonale. Questo aspetto è suffragato dal sentire di fine Ottocento, ove il Romanticismo si disperde e viene coperto da un velo di Decadentismo che si oppone alla grandiosità dei toni dell’inizio.
Contrario al registro di Wagner, del quale riprende solo una pienezza strumentale, Brahms prosegue l’iter iniziato dai romantici, con fedeltà, preferendo una poetica più intimistica che “titanica”, si ripiega su sé stesso e “sfrangia” le battute, le note, rendendo l’effetto sonoro più languido, meno condensato.
Questa volontà di rimanere legato al passato, seppur reinvestendo in un certo tipo di sonorità, lo ghettizzano in un antro critico che tende a sottovalutare la sua espressione artistica. Quest’ultima, a mio avviso, profonde al pieno nelle sue messe, dove il misticismo e il patetismo esprimono al meglio l’anima di questo artista; ad esempio l’Op. 45 pian piano leva un coro, dapprima sommesso, poi che timidamente si apre e sale su verso l’ideale, grave nei suoi accenti, che commuove l’animo. Qui è la sua grandezza, nella sua intimità.
Mentre nel Piano concerto numero 2, l’io romantico, fastoso, rassicurante nella scelta di passaggi autentici che risuonano di tutta la sua tradizione fa breccia nell’orecchio di chi lo ascolta. La sua innovazione sta nel non seguire il progressivismo e nel rilanciare un’etica già consolidata, già vincente, prediligendo le sonorità più schiette, più vicine. Un’etica, lo ripeto, del familiare: questa è la sua scommessa.
Tutto ciò che è umano è soggetto all’umana vanità.
Costanza Marana