Che cosa c’è di più bello per Natale se non andarsi a sentire un concerto del grande Juan Diego Flórez all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia???
Il cielo romano di mercoledì 20 dicembre era bellissimo, spumeggiante di raggi solari, quando una nube densa e minacciosa si è abbattuta sulla capitale italiana. Il concerto di Jonas Kaufmann previsto per ieri venerdì 22 dicembre, uno dei due appuntamenti natalizi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, attesissimo tant’è la caratura del tenore tedesco, per indisposizione del cantante è stato annullato ed è stato offerto alla città un concerto gratuito.
Nubi che si sono addensate la sera del 20 dicembre quando, all’inizio del concerto del nostro “sole peruviano” Juan Diego Flórez all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia , viene annunciata anche una sua indisposizione ma anche la sua volontà a cantare lo stesso. Ma il sole, presente dietro le nubi, è sempre pronto a risorgere.
Il nostro sole
Correva l’anno 1996. Al Rossini Opera Festival di Pesaro si stava allestendo la Matilde di Shabran. Il tenore previsto diede forfait a due settimane dalla prima. La sostituzione allora ricadde su di un giovane tenore peruviano, appena ventitreenne, presente al festival per una piccola parte nel Ricciardo e Zoraide. Fu un trionfo, e da allora incominciò a girare questo nome: Juan Diego Flórez. In un’intervista pubblicata sul programma di sala del concerto romano (estratta dal numero di dicembre della rivista Amadeus), il nostro cantante ha ammesso candidamente di aver fatto allora le prove di regia senza sapere “una nota dello spartito” (con la pianista Rosetta Cucchi che gli cantava la parte di continuo per fargliela imparare).
Da quella data sono passati 21 anni ma la voce di Juan Diego Flórez, all’età di quarantaquattro anni, è ancora di una qualità sbalorditiva. Con l’indisposizione Il programma è stata leggermente modificato (Una furtiva lagrima (L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti) al posto di Ah, come mai non senti (Otello di Gioacchino Rossini) e Firenze è come un albero fiorito (Gianni Schicchi di Giacomo Puccini) al posto di Che gelida manina (La bohème dello stesso compositore)). La bravura del nostro Juan Diego ha fatto dimenticare tutto.
Un programma ricco e particolare
L’ironia e la simpatia della Ballata di Kleinzach da Les Contes d’Hoffman di Jacques Offenbach si sono unite alla malinconia e alla poesia della sopra citata Una furtiva lagrima. In quest’aria Juan Diego Flórez esprime tutta la malinconia di Nemorino, innamorato ma per il momento non corrisposto di Adina. Il sole peruviano ne è oggi l’interprete numero uno al mondo.
Ma è soprattutto nella seconda parte del concerto del concerto che è riuscito a dare il meglio di sé. Oltre alla ballata sopra descritta, l’esecuzione di Firenze è come un albero fiorito è stata mirabile, dal punto di vista sia vocale (con acuti spettacolari) che scenico.
Fuoco nei complessi
La prova dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stata magistrale. Il primo violino Roberto González-Monjaz giocava con il direttore durante l’esecuzione dell’ouverture dell’Orphée aux Enfers di Jacques Offenbach. I complessi romani hanno regalati momenti di grande poesia (come nell’Intermezzo della Suora Angelica di Giacomo Puccini, la celebra Barcarola di Jacques Offenbach e il Va’ pensiero di Giuseppe Verdi, un’esecuzione poetica, dalla cristallina bellezza).
Per la grandezza di questo concerto e per accompagnare un fuoco come Juan Diego Flórez ci vuole una grande bacchetta. Antonio Pappano ha diretto tutto con grazia e leggerezza. Si vedeva la simbiosi tra il direttore e il suo cantante. Per amore di onestà, bisogna però anche dire che la direzione in taluni punti era un poco avara di colori e di nerbo. L’ouverture dell’Orphée aux Enfers non aveva, nel can-can finale, quella forza brutale presente in altre esecuzioni. Ma si tratta solamente di piccoli nei.
Un fuoco di bis
A un pubblico più che delirante non si poteva non concedere dei bis, ma qui è arrivata un’altra sorpresa. Juan Diego Flórez ha giocato un’ulteriore carta: la sua abilità nel suonare la chitarra, offrendoci una meravigliosa esecuzione di Marechiare, Malagueña e Cucurrucucú paloma (un piatto prelibato per tutti ma soprattutto per il folto pubblico sudamericano presente).
Ma la gente ama il bel canto. Il pubblico di Santa Cecilia è passionale, ama con tutto sé stesso e vuole averti in continuazione. Un altro bis era d’obbligo, ma questa volta con la grande orchestra. Non poteva allora che essere l’immortale Granada di Agustín Lara, dove, tra la bellezza dell’esecuzione e i giochi con il direttore, il pubblico è letteralmente saltato in piedi.
Arrivederci a presto Re Juan Diego Flórez, la città eterna ti ama.
Marco Rossi
(Foto di Musacchio, Ianniello & Pasqualini – www.santacecilia.it)