Villa Ada incontra il mondo a luglio, in un format collaudato da tempo. E anche quest’anno Goran Bregovic il 24 luglio è stato ospite nella grande isola verde romana, accompagnato dalla storica formazione The Wedding and Funeral Band.
L’occasione è anche quella di presentare al pubblico di Villa Ada gran parte dell’ultimo disco, senza dimenticare i grandi successi e le indimenticabili colonne sonore che lo hanno reso celebre.
Cinque anni dopo l’album Champagne for Gypsies, torna con una nuova produzione incentrata sul tema della diversità religiosa e della coesistenza pacifica: Three Letters from Sarajevo; uscito con Universal.
Il musicista balcanico è ormai nella zona consacrata ai grandi miti della musica contemporanea; continua tuttavia ad esercitare il suo fascino anche alla soglia dei settanta anni e di una vita all’insegna della sperimentazione e del nomadismo musicale.
Nato a Sarajevo da madre serba e padre croato, Goran Bregovic crea i suoi primi gruppi rock a sedici anni. “Il rock aveva all’epoca un ruolo fondamentale nella nostra vita. Era l’unica possibilità per poter esprimere pubblicamente il nostro malcontento senza rischiare di finire in galera, o quasi”.
Per far piacere ai suoi genitori, Goran si impegna a proseguire i suoi studi di filosofia e sociologia se l’enorme successo del suo primo disco non avesse deciso altrimenti. Seguono quindici anni con il suo gruppo White Button e tredici album venduti in 6 milioni di copie.
Tour interminabili in cui Goran diventerà l’idolo della gioventù jugoslava. Alla fine degli anni 80, Bregovic si libera del suo ruolo sfibrante di “star” e si isola in un “ritiro dorato” in una piccola casa sulla costa adriatica. Qui compone le musiche del terzo film di Emir Kusturica Il Tempo dei Gitani.
Ma ben presto i primi disordini scoppiano in Yugoslavia e i due amici sono costretti ad abbandonare tutto e trasferirsi a Parigi. Alla sua origine già mista, Goran ha aggiunto una moglie musulmana.
Tutto questo è necessario per comprendere fino in fondo la filosofia artistica di Bregovic che appare tra i suoi musicisti vestito di bianco da sempre, il non-colore capace di assorbire e trattenere ogni sfumatura di colore presente nel mondo.
Unico, selvaggio e raffinato si lascia rapire da ogni tipo di contaminazione che arriva dal cinema di Kusturica, dal teatro, dalla tradizione.
A Villa Ada la sua orchestra si è esibita in formazione ridotta, per motivi ovviamente logistici ma il pubblico fedele sembra non accorgersene, travolto dal ritmo indiavolato e del suo rapporto empatico con i fan che invita a cantare con una perfetta padronanza dell’italiano.
Ho notato l’assenza del direttore-percussionista, Ognjen Radivojevic e di Alen Ademovic rimpiazzati da un nuovo artista. Quelle che non potrebbero mai essere sostituite sono le voci bulgare, presenti nei loro costumi coloratissimi.
Il rituale è quello solito, i pezzi nuovi sono stati composti con la collaborazione di musicisti come Bebe, Riff Cohen, Rachid Taha, Asaf Avidan. Un Bregovic en passant che infiamma i cuori dei suoi fedelissimi, in un contesto anche troppo intimista per la portata del suo sound.
Antonella Rizzo
Antonella Rizzo