Un sound che sembra arrivare direttamente da oltreoceano. Una voce dirompente che a tratti rimanda alla timbrica di Skin. Gli italianissimi ElleBorn sono approdati nel pianeta “musica” e sembrano volerci restare a lungo.
Nascono a Roma nel 2015 fondati da Elle (voce e Synth) e Lucio De Angelis (Drums, Electronic pad) e subito sembra definirsi una linea ben chiara nei loro lavori. Questo degli Elleborn non deve essere un hobby.
In pochi anni tanti spettacoli in giro per l’Italia, la collaborazione musicale sulla realizzazione di cortometraggi e l’esibizione sul palco di Deejay on stage. Nel dicembre del 2016 esce il loro primo video “Reinassance” che riscuoterà un discreto successo su Radio Rock e su altre emittenti. A questo avvenimento fa seguito finalmente il primo disco: “Just A Grain Of Sand”.
Ci hanno parlato di questo e di molto altro nell’intervista che abbiamo realizzato:
Elleborn: qual è il significato di questo nome?
Quando insieme a Lucio De Angelis (batteria e pad elettronico della band) iniziammo il progetto abbiamo deciso di comune accordo di lasciare il mio nome d’arte “Elle” nel nuovo nome aggiungendo qualcosa che ci rappresentasse entrambi e così abbiamo scelto “Born” che significa “nato” in lingua inglese. In poche parole per noi ha un grande significato di rinascita sia come band che come musicisti.
Un progetto nato da poco ma che sembra aver dato già i suoi buoni frutti. Quali sono i vostri progetti più prossimi e quali quelli a lunga scadenza?
Ci sono molte cose in cantiere, molte sulle quali non possiamo proferire parola per ordini superiori. Sicuramente quello in cui saremo impegnati nei prossimi mesi sarà la promozione del nostro disco Just A Grain Of Sand e del nostro nuovo singolo “Jasmine” del quale è appena uscito un video (girato da Francesco Di Cicco, ideatore del format per musicisti “Afternoon in music”). Saremo poi sicuramente in giro con un tour le cui date verranno annunciate sulla nostra pagina Facebook e sul nostro sito www.elleborn.com, quindi seguiteci per rimanere aggiornati sempre.
Cosa significa provare a fare il musicista in Italia nel 2017?
Significa dover impiegare il 100% del proprio tempo alla realizzazione del proprio progetto, senza abbassare mai la guardia e senza arrendersi mai. Le difficoltà da affrontare sono tantissime e molte sono le volte in cui si cade, a volte anche ripetutamente. In Italia poi le difficoltà si moltiplicano, soprattutto per band come noi che in un’altra lingua (l’inglese) e con una musica non proprio cantautorale cercano di comunicare la propria arte. Però noi crediamo che nulla sia impossibile, basta credere fermamente in ciò che si sta facendo, prima o poi il miracolo avviene!
Nei vostri brani raccontate di storie personali e esperienze introspettive. Sono curioso rispetto a queste ultime: raccontatecene una attraverso un vostro brano.
“Awareness”, il brano con cui si apre il disco, significa “consapevolezza”, un aggettivo molto delicato da utilizzare (siamo mai realmente consapevoli?). Nel brano si racconta di un’esperienza in cui si credevano cose che poi alla fine, dopo un enorme lavoro introspettivo, si sono rivelate un pochino diverse da ci˜ che erano, viste da dentro la bolla di sapone. Ciò che si trova dentro di noi ci affascina moltissimo e quello che cerchiamo di fare è anche portare questi nostri pensieri e sensazioni alla luce, attraverso la nostra musica.
Il vostro primo disco “Just a grain of sand” è stato appena rilasciato. Quali sono le vostre sensazioni e le vostre aspettative?
Siamo felicissimi, cos’altro dire? Dietro un disco c’è un enorme lavoro, mesi, a volte anche anni. Quello che più ci rende felici è proprio la realizzazione concreta di ciò che poco meno di tre anni fa era soltanto un’idea, ed ora è qui nelle nostre mani e se ne parla in giro. È bellissimo! Per quanto riguarda le aspettative, non crediamo in questa parola. Cerchiamo sempre di concentrarci nel presente, le cose poi arrivano da sole, senza pensarci troppo su.
L’attività di band “meno note” in questi ultimi anni è in fermento eppure si fa fatica ad uscire fuori, a trovare un percorso alla lunga soddisfacente. Quali sono le cause?
La causa principale, a nostro modestissimo parere, è che oggi si è veramente in troppi a far musica, a volte ci si ritrova in mezzo a dei mucchi innumerevoli di band e musicisti che magari non hanno nemmeno l’obiettivo di far Musica nella vita, ma semplicemente possiedono una scheda audio ed un pc e provano a buttarsi nella mischia. In questo modo anche i professionisti ancora sconosciuti fanno un’enorme fatica ad emergere e gli addetti ai lavori a trovarli. Riuscireste mai così a scorgere il famoso ago nel pagliaio?
La scelta della lingua inglese può essere vista come un segnale rivolto al mercato estero?
Certamente si, e sicuramente anche il tipo di musica che facciamo lo è. Inoltre io ho sempre cantato e scritto in lingua inglese, la amo, ritengo abbia una musicalità unica per il modo in cui è possibile usarla nel canto. L’italiano a livello fonetico è sicuramente più complesso e restrittivo per alcuni tipi di cantato, e sicuramente anche a livello di scrittura, ma ci teniamo a precisare che non è questo il motivo per il quale ancora non ci siamo avventurati nella questione. Infatti non siamo contrari, magari in un prossimo futuro, a sperimentare anche qualcosa nella nostra lingua madre.
Perché secondo voi in Italia riempiamo gli stadi per artisti stranieri di fama mondiale, eppure non diamo fiducia alle nostre nuove leve? Intendo a livello sia di pubblico che discografico.
Che dire, sicuramente la componente psicologica influisce moltissimo. Quando un italiano sente che una band viene dall’Islanda o da London City fa “figo” piuttosto che sentir dire che è di Busto Arsizio o Melendugno. È un concetto stupido ma sappiamo che è reale purtroppo. Inoltre non si da mai fiducia ad un italiano che canta in lingua inglese a causa spesso della cattiva pronuncia, cosa che non avviene in nessun altro paese europeo, infatti è pieno di artisti tedeschi, olandesi, dell’est Europa che cantano in inglese e girano il mondo in tour senza problemi.
Siete stati un duo, poi un trio, poi di nuovo un duo quindi ancora un trio. Quanto è difficile trovare la giusta quadra del cerchio?
È difficile al livelli altissimi. Soprattutto quando si parte in due. Io e Lucio siamo un nucleo molto solido e due treni che corrono veloce, starci dietro non è semplice, capire le nostre esigenze e quelle che riteniamo giuste per andare avanti spediti nel progetto; sono tempi in cui non c’è più tempo per stare li a girarsi i pollici aspettando la manna dal cielo, e chi decide di entrare a far parte di questa avventura deve esserne consapevole. Da un anno a questa parte è con noi Simone Fedele (chitarrista elettrico e synth) che piano piano si è integrato e si sta amalgamando sempre di piè a noi e che possiamo sicuramente considerare il terzo elemento degli ElleBorn.
Cosa vi sentite di consigliare a chi, come voi, volesse provare a fare di un passione come la musica qualcosa di più?
Ragazzi NON MOLLATE. Anche quando diventa tutto nero e sembra siate circondati solo da balle di fieno rotolanti nel vento del deserto, ANDATE AVANTI, SEMPRE! La fiducia in noi stessi e in ciò che facciamo è la nostra unica carta vincente, FORZA!
Tre aggettivi per descivere in maniera esaustiva gli Elleborn.
Epici, folli, sognatori.
Il loro disco è disponibile su tutte le maggiori piattaforme online.
Un lavoro che merita di essere ascoltato nella sua interezza. Magari con le orecchie predisposte ad accogliere il nuovo facendo un po’ di spazio nel nostro cassetto della memoria che così gelosamente custodiamo e ci ostiniamo a comparare.
Emiliano Gambelli