“Vite di Madri” è un libro corale di voci femminili. Antiche e moderne, giovani e vecchie, mortali e immortali. “Storie di ordinaria anormalità”.
Le testimonianze raccolte da
Emma Fenu per
Echos Edizioni declinano svariate problematiche e sono incorniciate in titoli di libri noti, espediente, da un lato delicato, per salvaguardare l’anonimato delle intervistate, dall’altro strumentale, per stimolare un’associazione di idee, rendere il particolare universale e viceversa.
Uno dei più grossi problemi delle donne è la distinzione. Prima su tutte, quella più penalizzante, è la distinzione dal regno maschile. Ma ancora più pericolosa è stata – e ancora è – la frammentazione del femminino stesso, che forse è un po’ un’arma a doppio taglio.
A tal proposito il libro contiene tra le prime pagine un
inno a Iside a me molto caro, un testo ritrovato a Nag Hammadi, dove la dea in prima persona esterna le varie sfaccettature dello spirito muliebre. Non è un caso che sia Iside a parlare, dea che, in età ellenistica, era stata assimilata ad Afrodite, maschera sensuale delle regine tolemaiche. Queste figure emancipate
ante litteram, donne di potere, ci tenevano a sottolineare la loro personalità poliedrica, perché l’universo femminile era scisso inesorabilmente in due categorie, come spesso accade anche oggi, svariati secoli dopo:
la sposa madre e la prostituta sterile.
La moglie, infatti, era canonicamente un campo da arare per l’uomo, il cui più grande interesse era proseguire la propria stirpe.
Cosa accade dunque se una donna è sterile, non concepisce? Accade che bisogna lottare con i radicati pregiudizi delle vecchie mentalità.
“Non riuscivo a diventare madre, ero l’imperfezione più assoluta”
Siamo state educate a voler essere madri, è vero, ma la curiosità ci viene per natura, anche prima del desiderio di maternità: il nostro corpo può dare la vita. Ma, come ricorda giustamente Iside, non siamo solo incubatrici felici. Siamo anche figlie, siamo anche donne. E forse il problema è proprio questo nell’immaginario comune. Avete mai sentito un uomo giustificarsi così tanto? Sono uomo, sono marito, sono padre?
Un tempo il mondo femminile era l’altare del silenzio, poche erano le voci, come quella di Iside in questo caso, a reclamare la propria multiforme identità; attualmente invece è la trincea delle grandi lotte, delle grandi spiegazioni. Dobbiamo sempre giustificare la nostra presenza, le nostre azioni. Ma almeno ci è stata ridata la voce. La voce per dire senza paura che non sempre la Natura dona alla donna il potere di generare e ai figli dei genitori che li amano.
“Ma ti ha solo toccato, dunque?”
Mentre ai media piace parlare degli abusi, degli stupri, delle mamme killer, non si presta la stessa attenzione alle donne che non riescono ad avere figli. Così, l’utero in affitto diventa un problema per omosessuali, un pretesto per l’ennesima guerra alla diversità.
“Una giovane donna accettò di essere ventre, affinché un figlio vi fosse”
A ricordarci la strumentalizzazione della comunicazione è l’appendice finale di Sabina Cedri, uno sguardo sulla maternità confezionata dai giornali, sulla vita femminile come dovrebbe essere, sull’ipotetica soluzione alla mancata maternità: pregare Dio e fare molto l’amore. A precedere questo interessantissimo excursus sulla società, le 12 le storie che confutano questa propaganda buonista e le 24 braccia che stracciano il velo patinato delle sovrastrutture. Prima ancora, ad introdurre i racconti, un quesito, frutto di un atavico dissidio tipicamente femminile: Chi siamo?
“La prima e l’ultima, la venerata e la disprezzata, la prostituta e la santa, la sposa e la vergine, la mamma e la figlia, la sterile, la donna sposata e la nubile, la scandalosa e la magnifica”
Eccetera, eccetera, eccetera…
Siamo moltitudini, ci contraddiciamo, affermava fiero Walt Whitman. Ma forse, a questo mondo, vale ancora solo per gli uomini? Fatto sta che in questa summa, un po’ drammatica, un po’ speranzosa, realizzata da Emma Fenu, le donne possono esprimere la loro diversità rispetto allo standard, alla cosiddetta “normalità”, rivelando la loro multiformità, per far capire una volta per tutte che non c’è nulla da giustificare, nulla da riparare. Perché prima di essere qualsiasi cosa, siamo essere umani che meritano la possibilità di inseguire la propria felicità, a prescindere che sia considerata “anormale”.
Alessia Pizzi