Plethora, la poesia come contemplazione della vita
Immaginate la vita come un grande quadro da ammirare: cosa ne farebbe un poeta se non raccontarlo? Antonella Rizzo regala questa sensazione con la silloge poetica Plethora, edita da Nuove Edizioni Aldine.
La penna di Antonella Rizzo l’avevo già apprezzata nel prosimetro di Cleopatra, divina donna d’inferno. Un’opera in cui l’autrice incarna i desideri di un grande profilo storico nel panorama femminile: la bocca della donna contemporanea diviene lo sfogo di un’antica regina e trasporta il lettore nell’atmosfera di un passato degno di essere ricordato.
Poi è arrivato il momento di Iratae, la piece teatrale in cui lei e Maria Carla Trapani raccontano l’ingiusta fine di due donne storiche, Marie Madeleine d’Aubray e Olimpia Mancini.
Rizzo torna nel 2016 con una nuova opera, tutta poetica stavolta. Il titolo è “Plethora”, termine che nel suo significato lascia già intuire alcune delle caratteristiche della silloge. “Eccesso”, “Sovrabbondanza” sono i suoi significati e sono anche le caratteristiche, spesso, di una parola poetica alla ricerca di un qualche segno di apprezzamento, che si gonfia e diventa roboante, senza trasmettere poi chissà che.
La poesia firmata Rizzo si schiera contro questa tendenza sfoggiando eleganza, ricercatezza nei vocaboli, profondità di pensiero e, allo stesso tempo, una forte efficacia. L’influsso della cultura latina si fa sentire forte anche stavolta, a partire dal titolo, ovviamente.
Quanto dolore represso nel rassicurante oblio
di una pietraia disposta in cerchio
e chiamata focolare.
Molto interessanti sono i componimenti ecfrastici, quelli che descrivono un’opera d’arte. Tra questi anche uno dedicato a un’opera di Giorgio Ortona, artista recentemente in esposizione al Macro di Roma.
Mi ricordano gli epigrammi delle poetesse ellenistiche, divenute note per il genere. Tali artiste erano solite descrivere una statua o un quadro in forma impersonale, esaltando le virtù della persona rappresentata. Nel caso di Rizzo, invece, l’esperienza viene fagocitata dall’autrice e raccontata in prima persona. La descrizione va oltre l’oggettivo.
Potessi mordere gli spigoli
di quel muro di zigomi e pelle
un guanto di vecchia sartoria
farebbe scudo tra me e la mia febbre.
Per un veloce confronto si leggano i versi di Nosside di Locri (Ant. Pal. VI, 354): Anche da lontano appare riconoscibile l’effigie di Sabétide, | piena di forma e maestà. | Abbandonati a contemplarla: ti par di vedervi di lei la saggezza e la dolcezza. | Lode a te, mirabile donna!
Gli influssi comunque sono disparati, come le anche le ispirazioni, antiche e moderne. All’interno della raccolta troviamo anche suggestivi riferimenti alla nenia arbereshe:
Chicchirichì cantò il gallo / Pietro mangiava pane di miglio…
Zia Marianna ne voleva un po’ / e la pancia lo tagliò con il
coltello.
Una costante resta, però: pur cambiando le “corde poetiche” Rizzo continua a sprigionare la forte carica femminile, quasi ancestrale, che contraddistingue tutti i suoi scritti precedenti:
Io sono te
con la costola dellʼuomo
nascosta in una scatola.
Tra i tanti temi, protagonista è anche lo scorrere del tempo:
Torna il mio inverno e so che lʼalbero nudo è più forte
non porta germogli né futili fiori
nelle viscere buie scava caverne
dove è solitario padrone.
e l’ipocrisia della società:
Quanto dolore represso nel rassicurante oblio
di una pietraia disposta in cerchio
e chiamata focolare.
Infine, si parla anche d’amore. Ma quello degli altri, sempre descritto con sapiente sguardo ecfrastico. Come se il sentimento divenisse opera d’arte da contemplare, sublime creazione umana e vivente da raccontare:
Sul tavolo rovescia la Juliette,
dagli accenti tonici mi sembra
che inarchi il corpo con amore
e insieme si chiudono a compasso
frugando labbra da baciare.Se solo potessero parlare…
Con la sua penna di piuma, Rizzo regala emozioni da osservare, condividere, assaporare. Il libro si legge in un secondo, quasi si beve. Come la vita che trasuda dalle parole senza tempo di Plethora.
Alessia Pizzi
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