La fattoria dei gelsomini, di Elizabeth von Arnim, edito da Fazi editore, si presenta come un romanzo corale, pieno di personaggi e di comparse. Con un gioco alternato di campi lunghi e primi piani, essi illustrano un armonico complesso sociale e, allo stesso tempo, un’indagine psicologica approfondita individuale.
Nell’Inghilterra degli anni ’30, la storia di uno scandalo diventa il fulcro intorno al quale i personaggi iniziano a ruotare. Potremmo pertanto dire che sia un quadro della società inglese a essere il vero soggetto del racconto, ma non renderemmo il giusto onore a La fattoria dei gelsomini.
La vera protagonista dell’opera è l’ironia. Qualsiasi scena, sia corale che introspettiva, viene affrontata dall’autrice con un atteggiamento di leggerezza e sorriso che fanno ripensare a certi romanzi di Jane Austen.
Il narratore onnisciente e padrone della vicenda de La fattoria dei gelsomini, conosce tutto e tutti, ma non giudica: semplicemente racconta. L’onestà intellettuale che lo connota è propria di chi non vuole influenzare colui che andrà a leggere la sua storia.
Egli, tuttavia, sa molte cose, forse troppe, motivo per cui non può non essere ironico. Non si trattiene e non riuscirebbe a farlo nemmeno volendo. Un po’ come un bambino che non sa tenere un segreto: racconta la versione ufficiale, ridendo però sotto i baffi.
Attraverso il suo atteggiamento, il narratore rilega in secondo piano personaggi apparentemente protagonisti e ne porta sul proscenio altri. Personaggi a cui non si darebbe la degna attenzione se a causa del loro flusso di coscienza o delle loro battute, nel lettore non sorgesse sempre il sorriso. Il sorriso di chi sa bene cosa ha letto, ma sa altrettanto bene cosa debba intendere.
L’intera scena del primo capitolo apre il sipario di un increscioso e angusto problema che cruccia tutti gli invitati di lady Midhurst: la ripetizione del medesimo dessert in un pasto offerto nello stesso weekend.
Scandaloso e inaccettabile: così la vera protagonista del racconto entra in scena. Con tutta la leggerezza che le appartiene, si pone al centro del palco. I riflettori sono su di lei.
La fattoria dei gelsomini fa sfilare una serie di personaggi davanti al lettore, ma uno tra tutti si mette in luce. Mumsie si insinua nel racconto, inizialmente come apparente figurante, fino poi a padroneggiare con i suoi pensieri interi momenti del romanzo:
Non è stata vedova tre volte? Ciò non dimostrava forse quanto fosse abile nel capire che aria tirasse?
Un soggetto di quasi aretiniana memoria che entra inaspettatamente nel racconto e detiene le fila dello svolgersi degli eventi. Non senza malizia, non senza sorrisi, Mumsie sarà il personaggio a cui il lettore si affezionerà di più e di cui non potrà fare a meno fino alla fine del racconto.
Serena Vissani