Vent’anni di Harry Potter: il mito raccontato da una fan

libri harry potter

Il 26 giugno 1997 la piccola casa editrice inglese Bloomsbury pubblicava le prime cinquecento copie cartonate, oggi valgono una fortuna, di Harry Potter e la pietra filosofale.

Un libro scritto da una sconosciuta J.K. Rowling, che lo aveva cominciato a scrivere nel 1990, su un treno affollato partito da Manchester e diretto a Londra e che in precedenza era stato rifiutato da diversi editori, certi che quello strambo romanzo, in cui si raccontavano le avventure di una serie di maghi e di un oscuro cattivissimo personaggio, non sarebbe mai potuto piacere.

Quella bizzarra storia fatta di incantesimi, di una scuola di magia, di cioccorane, di animali fantastici, di amicizia, di un singolare sport, il quidditch, ma anche di orrore puro, degno dei migliori romanzi di genere, piacque, invece, a un piccolo editore, Nigel Newton e ancor di più a sua figlia Alice. La piccola, rapita da quel primo libro della saga di Harry Potter, lo divorò in pochi giorni, trasmettendo il suo ingenuo ma trascinante entusiasmo al padre, al punto da convincerlo a pubblicarlo, e fu la sua fortuna.

Vent’anni dopo, infatti, quella iniziale e azzardata scommessa si è trasformata in una inesauribile miniera d’oro, una fonte di ricchezza infinita per chiunque si sia anche semplicemente accostato al mondo di Harry e dei suoi magici amici.

Per capire la portata unica di questo fenomeno editoriale, senza addentrarci nel parallelo settore cinematografico, anch’esso caratterizzato da un successo indescrivibile (7.7 sono i miliardi incassati dai sette film girati dagli omonimi libri), basterà citare alcuni semplici, ma chiarificatori numeri: 450 milioni di copie vendute ad oggi in tutto il mondo, 79 le traduzioni fatte, (fra cui bengali, hindi, tamil e telugu), 1.2 miliardi di dollari guadagnati dalla Rowling, 11 milioni le copie vendute in Italia dall’editore Salani che, sulla falsariga della Bloomsbury, comprese, grazie all’intuizione di Luigi Spagnol, l’allora editor della casa editrice fiorentina fondata nel 1862, la portata straordinaria di quel primo romanzo.

Per raccontare quello che è a tutti gli effetti uno dei più importanti casi editoriali di sempre, ci affidiamo alle sensazioni e alle parole di un’accanita e storica lettrice della saga potteriana, Serena Di Battista.

serena di battista - sistersroom
Serena, che oggi ha trentuno anni, ex libraia, laureata in “Letterature e traduzione interculturale” ha per Harry Potter una vera e propria passione, quasi paragonabile a quella per le sorelle Bronte, per cui ha creato con l’amica Selene Chilla, addirittura un blog, il primo del genere in Italia, dal suggestivo nome: www.thesistersroom.com.

Come hai scoperto i romanzi del maghetto più famoso della letteratura?

Mia cugina Nuccia dagli USA manda sempre dei fantastici pacchi pieni di regali per noi che siamo la parte italiana della famiglia. I miei regali, di norma e per fortuna, consistono in libri. Quando avevo 13 anni, in uno di questi “famosi” pacchi, trovai i primi tre volumi della saga di Harry Potter, accompagnati da una lettera in cui Nuccia mi spiegava che in America quei titoli rappresentassero no un caso editoriale, e che lei stessa li stava leggendo e amando alla follia. Sapevo poco di quei libri, avevo solo sentito che erano “letture per bambini” e così, inizialmente un po’ delusa, iniziai a leggerli più che altro per non mancarle di rispetto.

Ci ho messo settimane a leggere le prime 50 pagine. Quel libro proprio non mi piaceva, la trama era lenta, eccessivamente noiosa, non capivo come avesse potuto entusiasmare mia cugina, che, pure, era un’ottima lettrice. Quell’Harry, dall’alto dei miei 13 anni, “era proprio roba da piccoli”. Ma poi è davvero scattata la magia: da pagina 51 del primo libro all’ultima pagina del terzo sono trascorsi due giorni e una notte. Ancora ringrazio mia cugina per avermi voluto portare con lei in quel mondo fantastico.

Cosa ti entusiasmò subito di quel primo romanzo di Harry Potter?

Credo siano stati diversi gli elementi che mi hanno letteralmente stregato. Innanzitutto il fatto che nel libro, proprio come nella mia vita da adolescente, i personaggi si trovassero tra due mondi diversi; In secondo luogo la meravigliosa creazione di un universo magico, per nulla banale e, infine, la chiara sensazione, al netto di una storia che era un’avventura incredibile, che stessi imparando tante cose della vita. Non mi sono mai sentita sola tra quelle pagine.

Avesti subito la percezione che sarebbe anche in Italia stato un successo senza precedenti?

No, non credo. Nessuno dei miei amici (intendo i miei coetanei) leggeva Harry Potter, inoltre a 13 anni non avevo minimamente idea di cosa fosse un caso editoriale. Per quel che riguardava il mondo intorno a me, credo che Harry Potter sia arrivato in Italia ufficialmente solo con l’uscita dei film al cinema. E anche allora, i miei amici guardavano i film ma non leggevano i libri. Verso gli ultimi anni del liceo era già diverso: ricordo che leggere Harry Potter fosse un fattore che accomunava i compagni di scuola più disparati.

Tu che hai letto la saga della Rowling sia in lingua originale che in Italiano, hai notato delle differenze sostanziali fra le due edizioni?

Devo ammettere che ormai quando rileggo Harry Potter (ah, sì, sì, ancora lo rileggo quando posso, con immensa gioia!) lo faccio in inglese, quindi non ricordo più i dettagli della versione italiana. Anche se tra il liceo e l’università, studiando traduzione, avevo approfondito parecchio soprattutto il primo volume, trovando decisamente affascinante il lavoro del traduttore, preso a destreggiarsi tra nomi inventati che però rimandavano a parole esistenti, e che magari delineavano una caratteristica del personaggio; nomi di incantesimi provenienti in parte dal latino; nomi propri tipicamente inglesi. Ma tecnica a parte, anche se per me il testo originale non ha (ovviamente) paragoni, sono affezionatissima ai vari “Silente” (Dumbledore), “Corvonero” (Ravenclaw), “Piton” (Snape).

Harry Potter nasce come un libro per ragazzi ma oggi piace indiscutibilmente a tutti. Cosa ritieni possa portare anche gli adulti a leggere le avventure del maghetto occhialuto?

Beh questa è facile: viviamo in un mondo in cui accadono cose orribili. C’è un bisogno disperato di magia. Chi di noi non si è mai trovato a lottare contro i Dissennatori? O non ha mai dovuto imparare a fare i conti con il peso di una responsabilità o di un sacrificio? Chi di noi non desidera tutti i giorni che fosse meno difficile? Harry Potter ci ricorda che la magia esiste. Ancora.

Sette capitoli di una storia decisamente affascinante, qual è, se c’è, il tuo titolo preferito?

Non ho mai cambiato idea: Il prigioniero di Azkaban.

Harry, Hermione, Silente, Piton, Ron, Voldermont quali sono a tuo avviso, i personaggi più riusciti creati dall’immaginifica penna della Rowling?

Senza dubbio Hermione e Harry. Per lei, lo ammetto, ho sempre avuto un debole: è la mia preferita in assoluto. Trovo che la sua sia una splendida crescita, ed è sempre stata una fonte di ispirazione per me anche e soprattutto da ragazzina. Hermione, infatti, è un’amica leale, una ragazza coraggiosa, una maga strepitosa, ma soprattutto è una testa che vuole sapere e un cuore che vuole combattere. Quella ragazzina, che sulle prime può sembrare eccessivamente saccente, boriosa, trasmette, invece, un messaggio positivo anche con la sua cocciuta attenzione alle questioni “sociali”.

Quella maghetta, apparentemente saccente, mi ha insegnato che, anche se sei da sola, non devi mai mollare la presa per difendere qualcosa in cui credi. Quanto ad Harry mi piace perché è fallibile, insicuro, con delle grandi paure e, i suoi fan accaniti mi perdoneranno, talvolta anche sciocco. Quest per me, però, sono delle qualità, assolutamente. In una società che ci vuole sempre perfetti e impeccabili, Harry dimostra che si può sbagliare, che si può fallire, che si può invocare e si può chiedere scusa. Che il coraggio è una scelta, e che si può essere coraggiosi anche e soprattutto quando si ha paura, che si può sempre essere migliori, e che “migliore” non vuol dire “perfetto”.

A tuo avviso ci sarà mai un ottavo libro della saga di Harry Potter?

Spero con tutto il cuore di no. Mi piacciono le cose che finiscono, anche quando vorrei che non finissero mai. Harry Potter si è già concluso: nel bene o nel male abbiamo letto la parola “fine”. Quella parola per me è una promessa. È stata un’avventura meravigliosa, probabilmente letterariamente parlando la più bella della mia vita, ed è stata perfetta così com’è.

 

 

Maurizio Carvigno

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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