Gianni Schicchi, ritratti di un folletto fiorentino nel saggio di Daniele Vogrig

Gianni Schicchi

«Quel folletto è Gianni Schicchi, / e va rabbioso altrui così conciando».

Sfugge a un rigido incasellamento questo saggio rigoroso di Daniele Vogrig dedicato alla figura di Gianni Schicchi, il cavaliere fiorentino collocato dall’Alighieri nella bolgia dei falsari dell’Inferno. In bilico tra analisi critico-testuale e linguistica, il volume propone un’attenta ricognizione dei lavori svolti dai commentatori e filologi danteschi e si spinge a toccare – in chiusura di excursus – la grande opera pucciniana ispirata alla leggenda dell’ambiguo «falsadore».

Supportato da un apparato bibliografico di indubbia rilevanza, Vogrig concentra in poco più di duecento pagine il peso attribuito dagli esegeti alla vicenda dello Schicchi, figura apparentemente di secondo piano nel magmatico universo delle Malebolge, solcato – nel solo Canto XXX – da personaggi come Mirra e Sinone, protagonisti ideali di approfondimenti futuri e più corposi.

In questo senso, la scelta dell’autore risulta originale e significativa, giacché permette, a un pubblico di appassionati non necessariamente addetti ai lavori, di percorrere con occhio attento la strada delle ipotesi identificative sviluppate nei secoli senza perdersi nel mare magno di infinite fonti e rivisitazioni.

Non che Vogrig si sia sottratto al necessario compito di affrontare e raffrontare una cospicua messe di materiali, ma la scelta di assumere Schicchi come osservatorio privilegiato della tradizione dell’esegesi dantesca gli consente di condurre uno studio articolato e al tempo stesso fruibile, in grado di offrire una prospettiva di lettura inedita e destinata a sviluppi futuri.

Sette capitoli dedicati all’opera e al pensiero di Dante

Nel disporre le linee guida del suo lavoro, egli sceglie di sviluppare il suo discorso lungo l’arco di sette capitoli dedicati alla ricezione dell’opera e del pensiero dell’Alighieri nei secoli che vanno dal XIV al XX.

Ciascuno di essi è aperto da un’accurata ed esaustiva contestualizzazione dei lavori di analisi, approcciati di volta in volta tenendo conto della biografia di ogni autore e del suo orientamento teorico, oltre che della temperie politico-sociale dell’epoca in cui questi si trova ad operare. Filo rosso, come è ovvio, è la trattazione del personaggio Schicchi, “raccontato” e ri-definito a partire dalle postille di Jacopo Alighieri al poema paterno.

Vogrig, tuttavia, non tralascia nulla e ancor prima di esaminare i singoli commentatori tratteggia un quadro particolareggiato dell’età presa in esame, mostrando così – mediante la lente della fortuna dantesca – i mutamenti che investirono il pensiero e l’azione.

Gianni SchicchiConcisi ma efficaci i riferimenti alle più grandi teorie e dispute intellettuali: dal modello bembiano alle «diaspore pro o contro la Crusca» (p. 87); dalla sfaccettata e divisiva ricezione settecentesca all’ingombrante «polemica crociana» (p. 159).

A cavallo di epoche, estimatori e detrattori, l’Alighieri si pone come scandaglio delle varie metodologie di approccio al testo adottate nel tempo, fattesi via via sempre più scevre da emozioni ma non per questo meno complesse e divergenti tra loro.

La descrizione di Gianni Schicchi non risente, in questo senso, di particolari variazioni, ma Vogrig è bravo a collegarla agilmente alla chiave di approccio adottata dagli esegeti.

Come una novella che si costruisce via via, la vicenda del «falsificatore di persona» si arricchisce nel tempo di particolari minimi eppure essenziali, che lo rendono di volta in volta truffatore spregiudicato o complice ed esecutore di un illecito commissionatogli da altri. Ciascun commento poi, come nota l’autore, non manca di attingere – esplicitamente o meno – al contributo fornito dalla tradizione precedente, così che in diverse versioni, seppur in piccola parte, si trovano a coesistere contributi di innovazione e dettagli già assodati.

Quel che è interessante notare è soprattutto l’interpretazione dell’epiteto «folletto» mediante il quale Griffolino d’Arezzo indica a Dante lo Schicchi.

Da Benvenuto da Imola a Pompeo Venturi sino a Gabriele Rossetti il termine attraversa le epoche e si riaffaccia, di tanto in tanto, con sfumature di significato diverse. Sfumature che vanno dal semplice «demonio» allo «spirito infuriato» (p. 99) del Lombardi, caricandosi di attributi che oscillano tra la descrizione dantesca («rabbioso») e il pallore di virgiliana memoria evocato da Carroll, al quale – viene d’azzardare – potrebbe aver guardato anche il Gozzano dell’Onesto rifiuto.

La conclusione del volume, come accennato in precedenza, è dedicata da Vogrig al Gianni Schicchi di Puccini su libretto di Giovacchino Forzato.

Notevole anche qui è la mole del materiale consultato dall’autore, il quale del resto ha alle spalle un’opera intitolata Crepuscoli pucciniani (Terracina, Innuendo, 2014) incentrata sul secondo atto del Trittico del compositore lucchese, Suor Angelica.

Ciò che esce fuori da questo paragrafo è un’analisi appassionata dell’opera, di cui Vogrig rintraccia un’ulteriore «serie di fonti correlate alla vicenda […] esemplificata dagli esegesi danteschi» (p. 198) e ne legge la costruzione e il finale alla luce del confronto – già operato da altri – con il Falstaff verdiano.

In conclusione il testo costituisce un ragguardevole supporto allo studio e alla rilettura della tradizione critica dantesca, contribuendo con una scrittura chiara ma mai banale all’approfondimento di una delle figure più interessanti e meno note dell’intera Commedia.

 

Daniele Vogrig
Gianni Schicchi. Ritratti di un folletto fiorentino
Roma, Lithos, 2019
233 pp.

 

Ginevra Amadio

 

Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.

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