Anna Pavlop, Emilio Galdani, Liliana Rinaldi, Marco Vitali
Arrivò la primavera, quasi l’estate e Roma aveva ricominciato a riflettere la luce, segno innegabile della bella stagione.
Emilio Galdani aveva infine chinato il capo al giogo della vita matrimoniale e l’aveva fatto provando in cuor suo una dolcezza quasi di sottomissione: quando aveva dato ad Anna l’anello, pronunciando la fatidica frase, la maniera in cui le erano brillati gli occhi lo convinse a proseguire su quella strada. Anna aveva mostrato una felicità elementare ed Emilio comprese, lui ormai non più giovanissimo, che la felicità è una cosa banale e assieme fortissima. Quella convinzione venne a gravargli tutto d’un colpo: aveva sprecato la vita a scrivere, ad arrovellarsi, a cercare curve e scorciatoie in un percorso in realtà linearissimo.
Ora voleva essere solo elementare e semplice, ossia contento: le mise l’anello al dito, l’accolse di nuovo in casa sua. Aveva dovuto quasi perderla per amarla adesso con quella fiamma nuova: prendere le bomboniere, preparare la cerimonia, immaginare finalmente di sollevarle il velo dal volto.
Emilio Galdani non scrisse mai più e presto più nessuno parlò di lui: posò la penna senza neanche rendersene conto. Le cose della vita l’avevano richiamato con il loro splendore e lui non voleva più urtarle e stigmatizzarle col suo inchiostro. Anna, che l’aveva da sempre amato moltissimo, ora non solo l’amava, ma alle volte le sembrava di capirlo addirittura. Emilio s’era semplificato visivamente, come fosse un’equazione difficile ridotta adesso ai minimi termini.
L’unica cosa che le dispiacque fu notare che leggeva anche di meno: spesso perdeva un’oretta nella controra a leggere dei trafiletti di giornale che portavano la firma di una certa Liliana Rinaldi, ma poco altro. Ogni tanto provava a leggerli anche lei, e trovava che quelle poche righe che il giornale rilegava in fondo alla pagina fossero piene di inutili sentimentalismi, retoriche e alle volte quasi ridicole.
D’altra parte, neppure più a Liliana piaceva la maniera in cui scriveva da qualche tempo a questa parte. O meglio, la scrittura le era rimasta come un’abitudine stanca esattamente come lei era rimasta come un involucro vuoto. Aveva scoperto, non dirò ai lettori come per non annoiarli con certi sotterfugi finissimi, i tradimenti di Marco- ormai palesemente tali- con questa donna, Claudia.
Liliana s’era premurata, venuta a conoscenza dei fatti, presa da un fuoco distruttivo, di farsi trovare sotto l’abitazione dell’amante. Non sapeva che intenzioni avesse, e, quando la vide avvicinarsi con le buste della spesa mentre con la mano libera frugava nella borsa per prendere le chiavi, semplicemente la guardò sfilare.
Claudia era una donna brutta, i capelli scuri e mossi, il viso lievemente schiacciato, come quello di una lucertola. La gonna le lasciava scoperte due gambe massicce da calciatore e Liliana immaginò che visto il ventre così piatto e sproporzionato all’insieme doveva portare una panciera. Era d’altra parte molto più vecchia di lei e il corpo doveva star mostrando le prime debolezze. Fece finta per un paio di settimane che non fosse nulla: anche lei aveva avuto, con il Galdani, la sua debolezza.
L’amore però ad un tradimento non sopravvive, figuriamoci a due: Liliana lasciò Marco, mentre ancora lui tentava, ipocrita e vigliacco, di giustificarsi.
La desolazione che la colpì aveva due mani gelide e per qualche tempo vagò come un fantasma inquieto. In realtà, vi dico che Liliana s’era fatta bella: molto più bella di Claudia, di Marco, alle volte quasi più di Anna. Il suo pensiero incessante l’aveva resa capace di sfiorare le cose, di vedere, e- seppure ora la sua scrittura le risultasse stucchevole, come risultava a chi non era in grado di capirla- la sua penna s’era fatta piena di cose e questo alcuni giornali l’avevano riconosciuto: cominciavano a concederle i primi spazi e da lì a breve si sarebbe ritagliata angoli illustrissimi. Qualcuno avrebbe poi detto che il suo nome, in città, aveva finito per sostituire quello di Emilio.
La ragazza, piegata nel dolore consueto e in quello nuovo della delusione, non sembrava accorgersene. Rischiò, anzi, di incattivirsi. Sognava Claudia che le strappava il cuore dal petto, sognava Marco alle sue spalle e non si accorgeva della maniera in cui stava fiorendo.
Su Marco invece non voglio pronunciare altro, personaggio misero e involuto, e ancor meno vorrò raccontarvi di questa Claudia che fece male sapendo di farlo. I due furono una coppia ipocrita e priva d’altezze che ebbe vita breve, breve quasi quanto quelle notti romane.
Hai perso l’ultima dose?
Serena Garofalo