“Mansfield Park”: il romanzo più controverso di Jane Austen

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Chi conosce le anticonvenzionali e ironiche eroine di Jane Austen, e ha fantasticato senza troppa difficoltà sulla possibilità di bere un tè con Lizzy Bennet ridendo delle sciocchezze delle sue civettuole sorelline, avrà probabilmente girato l’ultima pagina di “Mansfield Park” con un senso di delusione e perplessità.

Era Jane Austen nient’altro che una acida zitella, fedele alla morale della religione e agli ordini stabiliti dalla famiglia patriarcale? C’era, inoltre, un timido accenno, o anche consenso, alla “giustizia” della schiavitù nelle pagine appena lette? Queste domande potrebbero essere sorte spontanee al lettore di “Mansfield Park”.

Di cosa parla “Mansfield Park”

Il romanzo è stato scritto tra il 1812 e il 1814 ed è stato pubblicato la prima volta nel 1814. Narra le vicende di Fanny Price che, figlia nata da un matrimonio d’amore, ma economicamente svantaggioso, viene affidata sin da bambina alle cure dei ricchi zii.

Nella ricca dimora di Mansfield, la giovane cresce con la consapevolezza e la placida accettazione di essere inferiore, per stato sociale, salute e intelligenza, ai suoi cugini. Trattata con superficialità da tutti, fuorché da suo cugino Edmund, Fanny diventa una giovane donna e si scopre particolarmente affezionata al cugino. Poi, come sempre accade nei libri di Austen, nuovi personaggi arrivano a rompere l’equilibrio della quotidianità e a scuotere gli animi dei protagonisti.

Gran parte del romanzo è dedicata all’organizzazione di uno spettacolo teatrale che, però, non verrà mai messo in scena a seguito dell’anticipato ritorno a casa del severo padrone di casa: lo zio, Sir Thomas Bertram.

Nel libro Fanny critica severamente l’idea del teatro che, è stato detto da qualcuno, potrebbe essere una metafora: è l’unico momento in cui i protagonisti, protetti dalla finzione della messa in scena, dicono e fanno davvero quello che vogliono. Allo stesso tempo, Fanny non apprezza la mondana e affascinante Mary Crawford che dice sempre ciò che pensa. Infine, guarda con sgomento ai comportamenti disdicevoli (o da lei reputati così) delle sue cugine e, tuttavia, non ne parla con nessuno.

Per la verità il personaggio di Fanny rimane spesso silenzioso, passivo e pieno di giudizio inespresso verso ciò che la circonda. Tale giudizio non è sempre negativo, anzi: ella adora la morale religiosa del cugino Edmund e guarda con timore reverenziale e immenso rispetto allo zio.

In un susseguirsi di vicende in cui Fanny non prende mai una iniziativa, ma, da perfetta donna ottocentesca, abbassa la testa e nasconde la propria opinione (anche quando le viene chiesto cosa pensi!), si arriva alle ultime pagine ad una frettolosa conclusione nella quale, quasi senza romanticismo, Fanny ha tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare, il cugino Edmund per marito, la famiglia degli zii come sua stessa famiglia, un nuovo rango sociale e, in definitiva, la dimora.

Capire Jane Austen: la segreta chiave di lettura di “Mansfield Park”

A chiusura del libro potrebbe sembrare che Jane Austen abbia innalzato a modello ideale la società che, invece, aveva con sottile ironia criticato in “Orgoglio e Pregiudizio”, uscito solo l’anno prima e che avrebbe continuato a criticare in “Emma”, pubblicato un anno dopo “Mansfield Park”. Come è possibile? Il dilemma ha confuso per anni (si potrebbe dire, per secoli!) i critici. Finché qualcuno ha avuto un’intuizione che, bisogna ammetterlo, è ancora oggi timidamente considerata: la chiave di lettura del libro è il rovescio delle verità!

Molto di ciò che viene elogiato nel romanzo è in realtà criticato: i personaggi buoni sono i “cattivi” (si pensi anche solo all’amato cugino Edmund, che è talmente simile al buffo Mr Collins di “Orgoglio e Pregiudizio”) e i comportamenti disprezzati dalla protagonista meriterebbero, invece, l’elogio del lettore (all’odiosa e schietta Mary Crawford piace parlare e camminare… non è simile a Marianne Dashwood, di “Ragione e Sentimento”?).

Il punto di vista di tutto il romanzo è quello di Fanny, che in sé è una protagonista che difficilmente può starci completamente simpatica. Non solo è spesso sottomessa, ha (per sua stessa ammissione) poca cultura, ma è anche a tratti falsa.

Si potrebbe dire che quello di Austen è un esperimento di scrittura estremamente all’avanguardia, forse solo parzialmente riuscito, che probabilmente sarebbe stato subito compreso un secolo dopo, ma, nella quotidianità della scrittrice, era stato piuttosto frainteso.

Jane Austen e la questione della schiavitù

Si è a lungo discusso sul fatto che “Mansfield Park” trattasse anche il tema della schiavitù che all’epoca era ancora praticata.

Per la verità, la questione degli schiavi rimane implicita ed è menzionata solo una volta nel testo, quando Fanny parla con Edmund di una conversazione avvenuta con lo zio la sera precedente.

“Ma io discorro con lui più di quanto facessi prima. Ne sono certa. Non mi hai sentito quando gli ho chiesto della tratta degli schiavi l’altra sera?”
“Sì, certo, e ho sperato che a quella domanda ne seguissero altre. A tuo zio avrebbe fatto molto piacere se tu lo avessi indotto a darti più informazioni”.
“E io avrei desiderato così tanto farlo… ma c’era un tale silenzio!”…

Capitolo III, volume II

Per il resto, di Sir Thomas Bertram già sapevamo fosse membro del parlamento, con affari ad Antigua e, secondo gran parte della critica, nessun contemporaneo di Austen avrebbe frainteso l’allusione: il possesso di una piantagione lavorata da persone schiavizzate.

Visto che nel testo il personaggio di Sir Bertram è elogiato nelle sue doti di padrone di casa (“master of the house”, capitolo II, volume II), molti lettori si sono scandalizzati credendo che Austen stesse implicitamente approvando anche lo sfruttamento degli schiavi. Qualcuno ha provato ad argomentare che il dettaglio sulla schiavitù fosse insignificante, però i dettagli nei romanzi di Jane Austen non sono mai casuali, sono, anzi, accuratamente selezionati. La scrittrice voleva parlare di schiavitù? Sì, ma non va dimenticato il meccanismo del rovescio delle verità!

Non è possibile che Austen approvasse lo sfruttamento degli schiavi e, anzi, sappiamo dalle sue lettere alla sorella, che aveva letto e molto ammirato gli scritti dell’attivista abolizionista britannico Thomas Clarkson. Ricordiamo il meccanismo del rovescio, ed ecco come il buon padrone di casa si trasforma in un tremendo e ipocrita padrone di schiavi.

In “Mansfield Park” Jane Austen crea un disegno nitido dei personaggi che popolano le sue pagine. Sono ritratti precisi e ben collocati nella realtà tramite dettagli che, sebbene possano sfuggire al lettore moderno, sarebbero stati ben compresi dai contemporanei.

Alla luce di tutto ciò, non è strano che nell’adattamento cinematografico di “Mansfield Park” del 1999 i personaggi siano stati completamente riscritti e Fanny appare come una giovane donna spigliata e sarcastica. Certo, trasportare al cinema un libro dall’ironia così tanto profonda che è difficile scorgerla non sarà stata una sfida semplice da cogliere. A ogni modo, il film è divertente e richiama molto più gli antagonisti e le eroine degli altri celebri libri dell’amatissima Jane Austen.

Cristiana F. Toscano

"Case, libri, quadri, viaggi, fogli di giornale"... non diceva "quadri" la canzone? Vivo tra Italia, Scozia e Bielorussia, ho studiato giornalismo e lettere moderne, lavoro nel mondo dei media e dell'editoria.

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