La musica rap anche in Italia è oramai una certezza. Un genere ascoltato e prodotto principalmente dai giovani. Per conoscere meglio questa realtà abbiamo incontrato il rapper romano Tiuke.
Il rap è un genere che nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta del secolo scorso ma che, da alcuni anni, ha preso piede anche in Italia grazie ad autori che sempre più occupano un posto di riguardo nel panorama musicale nazionale.
Accanto ai rapper più celebri si stanno affermando anche ragazzi meno noti al grande pubblico che producono pezzi che si distinguono per la qualità dei testi e dei video.
Abbiamo incontrato uno di questi giovani rapper, Lorenzo Balla, classe 1996, in arte Tiuke. Come molti prima di lui, anche Lorenzo è stato innanzitutto un fan della musica rap, in particolare di Fabri Fibra e Marrakech. Ma ascoltare non era sufficiente, per questo ha provato a fare il grande salto, cercando, come i suoi beniamini, di fare del buon rap.
Con il compagno di scuola Aurelio inizia un sodalizio straordinario. Lorenzo si occupa dei testi, l’amico, nome d’arte Rick Freak, delle strumentali.
E il sogno inizia ad avere il profilo di una bellissima realtà.
Ciao Lorenzo, il tuo nome d’arte, Tiuke, è certamente particolare, come nasce?
Tiuke è un termine greco, piacevole reminiscenza degli anni del liceo. Vuol dire destino, sorte, casualità. Mi è sempre piaciuto il significato di questa parola, la sua potenza semantica, la sua affascinante sonorità. Discorso estetico a parte, mi attraeva l’idea di sottolineare come, per uno recondito gioco del fato, il mio destino fosse quello di fare il rap, di raccontarmi attraverso questo tipo di musica. E tiuke mi sembrava la parola migliore per rappresentarmi.
Certo succede che talvolta il mio nome venga storpiato, ho sentito di tutto in questi anni. Tic, tuc, esatto come le patatine, anche tak, ma non importa anche se talvolta è davvero snervante.
Oltre alla musica rap cosa ti piace ascoltare?
Al di fuori del rap mi piace molto la musica pop internazionale. Sono un fan delle hit commerciali americane, di cui apprezzo molto le sonorità, meno i testi, spesso deludenti. Sono anche incuriosito da alcuni autori pop italiani come Takagi e Ketra che, dopo essere stati dietro le quinte, producendo le basi musicali per diversi artisti (Fedez, J-Ax, Giusi Ferreri, Calcutta, Rocco Hunt), hanno scelto di esporsi in prima persona. Non mi dispiacciono neppure i TheGiornalisti, una novità nel panorama pop 2.0.
Come crei i tuoi pezzi?
Non esiste un protocollo prestabilito. Ogni pezzo ha una sua genesi. Di solito parto dalla strumentale, dalla base che realizza Aurelio, Rick Freak. Ci incontriamo in studio e gli indico quali sono le mie esigenze, qual è il mood musicale che vorrei e quel genio del mio amico si mette all’opera. Prima ancora che termini la base ho già in mente il testo. Inizio dal ritornello e poi scrivo le strofe.
I miei testi hanno sempre un’inevitabile componente autobiografica. Una cosa scontata, si penserà, ma non è così. Molti rapper famosi parlano di cose che in realtà non hanno mai vissuto. Lo fanno perché ritengono che affrontando certi argomenti risultino più di moda. Per me una simile scelta è inaccettabile.
Ultimamente sto lavorando molto sui testi, cercando di migliorarli il più possibile. Immagino il mio rap come un diamante da sgrezzare, per renderlo più lucente.
Perché a tuo avviso la musica rap ha così successo fra i giovani?
Grazie per la bella domanda. Ritengo che il successo del rap oggi giorno, derivi dal fatto di essere vera e propria cultura di massa. Il rap è uno straordinario catalizzatore di immagini. Tramite questo genere musicale gli artisti hanno la possibilità di far sentire la loro voce. Senza rap sarebbero afoni.
Pur nascendo come genere di protesta, il rap negli ultimi anni si è sdoganato, assumendo diverse sfaccettature che attirano fette di pubblico sempre più ampie. Oggi il rap asseconda anche i gusti più particolari.
Il rap mastica la realtà che poi risputa fuori attraverso le rime.
La maggiore caratteristica del rap, a mio avviso, è che vive di contemporaneità. Per questo non morirà mai. Ora dirò qualcosa che farà inorridire i puristi della lingua. Sono fermamente convinto che se Dante Alighieri vivesse oggi, farebbe rap. Sarebbe la migliore e più diretta possibilità d’espressione.
Il rap, in questa fase post ideologica, di caduta di valori, diventa il portavoce delle nuove generazioni, quelle più scosse da questa crisi sociale.
I tuoi video sono sempre molto curati. Come nascono?
I video sono strettamente legati alla canzone. Per questo prima di qualsiasi cosa parlo con il mio gruppo di videomaker, i Demaniak (Giacomo è l’operatore mentre Emanuele si occupa del montaggio) per capire come realizzarli. Stabilite le location, faccio il sopralluogo per evitare eventuali imprevisti. Dopo si inizia con le riprese che di norma prendono due giorni. Infine, si arriva al montaggio vero e proprio.
Tengo molto ai video. La musica rap si nutre del videoclip. La componente estetica è fondamentale. Un buon video è il viatico necessario per il successo di una canzone.
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
L’obiettivo è sempre quello di fare musica. Vorrei, però, fare il famoso salto. Mi manca, pur ricevendo spesso attestati di stima, quel quid che fa la differenza. Utilizzando una metafora calcistica, mi sento come il talento della primavera che ambisce a esordire in prima squadra.
Per fare questo sono consapevole di dover lavorare molto, migliorando i testi, offrendo un prodotto musicale più appetibile al grande pubblico senza snaturarmi. L’imperativo categorico è di essere sempre coerente.
L’obiettivo è lavorare su me stesso prima ancora che sui testi, un lavoro d’introspezione ma il rap, alla fine, è anche questo.
Grazie agli amici di Culturamente per lo spazio concessomi, per questa bella vetrina.
Concedetemi un appello in cui credo molto. Se vi piace il rap e la musica in generale, vi prego, andate alle serate. I social sono belli, sono la modernità, fanno indiscutibilmente parte della nostra vita, però la musica si ama dal vivo. Solo nei concerti si apprezza davvero il suo valore unico del suono, delle canzoni.
E andate oltre i rapper famosi. Esistono tantissimi ragazzi che fanno dell’ottimo rap che rimane sconosciuto. Date anche a loro la possibilità di non essere afoni.
Maurizio Carvigno