Lisa Simpson, Galileo sono solo alcuni dei personaggi e delle storie raccontate nell’album Creature Selvagge
Un album ricco di spunti riflessivi ma con un preciso percorso tracciato. Un’evoluzione del cantautorato italiano contaminato dalle tante influenze dei cinque musicisti di Torino, al secolo lastanzadigreta.
Dodici brani che hanno il pregio di crescere, maturare e poi definirsi in uno stile piuttosto originale e difficilmente individuabile in altro. Merito di un’idea di base forte: creare una musica bambina e democratica.
Dal 2011 i componenti de lastanzadigreta sono anche il cuore dell’Associazione Culturale altreArti, che ha sede a Torino e propone una vera e propria rivoluzione didattica nell’insegnamento della musica.
Il loro album Creature Selvagge è candidato al premio Tenco, sezione opera prima.
Ci tengo a dire una cosa. É pressochè impossibile rimanere impassibili ascoltando la loro musica. Come tutto, ovviamente, può non piacere. Le loro composizioni le si possono amare oppure odiare ma no, non si può non provare nulla. Il loro album Creature Selvagge (per il quale sono stati registrati due videoclip) è un disco ricco di atmosfere che spaziono dal giocoso al riflessivo, pregno insomma di emozioni e di belle idee. Le idee di per sé sono una buona cosa sempre. Quando sono belle poi, si crea qualcosa di magico.
La scelta della loro particolare strumentazione da sola vale almeno un ascolto attento.
Può una scatola di sigari essere trasformata in uno strumento a corde amplificato? A vedere i loro live sembra di sì, inoltre risulta magistralmente suonata da Umberto Poli. Cosa dire poi di Alan Brunetta, assai abile percussionista in grado di suonare qualsiasi cosa si trovi nei suoi paraggi che produca un rumore? A fare da “moquette” c’è Flavio Rubatto, collante e filo conduttore, addetto alla creazione delle suggestive ambientazioni con il piano rhodes e il theremin. Infine la voce: Leonardo Laviano. La perfetta traduzione e proiezione in onde sonore, dei loro testi. A tratti, se si chiudono gli occhi, il suo timbro ci ricorda immediatamente Battiato. Caldo e riappacificatore, Leonardo ti scorre dentro come un buon tè in un pomeriggio autunnale.
Fermi tutti, c’è ancora un ultimo elemento ne lastanzadigreta, colui che ha deciso di partecipare all’intervista che segue subito sotto questa piccola introduzione. Si chiama Jacopo Tomatis ed è colui che armeggia quel bellissimo strumento che è il mandolino elettrico. Non solo. Come tutti i componenti anche lui è polistrumentista. Si cimenta anche con il banjolino, la clavietta basso, il glockenspiel, i sinth e l’harmonium.
Se le lore fantastiche barbe, questa trafila di strumenti musicali desueti e il loro abbigliamento casual/radicalchic/hipster non vi ha convinto ad ascoltare il loro album beh, sono certo lo faranno le parole del simpaticissimo Jacopo.
Lastanzadigreta, scopriremo, non è soltanto musica, è un vero e proprio concetto. Un’idea che ha delle basi solide e una conoscenza di fondo notevole che lascia intendere come nulla sia lasciato al caso.
Tutto segue uno schema preciso e affonda le radici nella cultura singola dei componenti stessi, andando a fondersi in un “unicum musicale” che è poi quello che la loro arte produce.
Chi sono lastanzadigreta e perché si chiamano così?
Lastanzadigreta è un collettivo di cinque musicisti di Torino, che suonano un po’ di tutto si divertono a scrivere e arrangiare canzoni. Sono insieme da tempo e le origini del loro nome si perdono nel passato: si cerca di alimentare leggende sempre nuove sull’origine del nome, ma in verità – l’unica cosa importante da sapere – è che Greta è una persona reale, che oggi non c’è più, e che è stata l’occasione che ci ha fatto incontrare per la prima volta.
Spiegate a tutti il vostro concetto di musica bambina.
La musica bambina non è musica da bambini, può essere musica per bambini, e con i bambini. Non è stupida, non è banale, non esclude nessuno – genitori o altre specie.
Da un lato, ha a che vedere con il pensare la musica come elemento centrale della vita in società, come attività, processo sociale per eccellenza, che si può fare (e da cui si può trarre piacere) solo insieme: un concetto chiave nel processo educativo. La musica non è quella cosa che da bambino uno deve imparare e poi si stufa, è qualcosa che può essere presente sempre nella nostra vita – ascoltata o suonata, non importa – come parte importante di quello che siamo.
Dall’altro, con “musica bambina” pensiamo anche a una musica che del mondo dell’infanzia sappia recuperare lo sguardo leggero, vergine, lo stupore che coglie quando si ascolta uno strumento per la prima volta, quello stupore che noi tutti ricordiamo di fronte al primo brano ascoltato di un gruppo che amiamo o amavano, o della prima volta che abbiamo infilato il jack in un amplificatore. Poi, c’è un manifesto che cerca di spiegare meglio il concetto! Ma non è di quei concetti monolitici, anzi… vive di continui riassestamenti.
Mi immagino “la stanza di Greta” come le quattro mura che accolgono proprio una bambina. Se voi foste dei giocattoli in quella stanza, quali vorreste essere e perché.
Non importa, basta che facciano rumore. Il più rumore possibile.
Cos’è per lastanzadigreta la democrazia nella musica? Esiste, nella realtà dei fatti?
La musica bambina è una musica democratica per definizione. Per lastanzadigreta, per la nostra particolare gestione del processo musicale, “democrazia” significa soprattutto che ognuno è allo stesso livello, che può suonare tutto “secondo le sue capacità, e secondo i suoi bisogni” – per parafrasare un noto pensatore germanofono. Poi, quello di “democrazia della musica” è un concetto che riporta, come quello di musica bambina, all’idea del fare musica come momento collettivo, sociale…
Se esiste nella realtà dei fatti: la famigerata “cultura occidentale” comprende quasi sempre un’idea della musica più gerarchica. La musica è quella cosa (e sappiamo che non è una cosa) che i più bravi sono in grado di suonare su un palcoscenico, mentre gli altri tacciono e ascoltano. C’è un’idea di specializzazione necessaria per suonare, che impone vincoli e norme molto rigide. Questo non un male in sé, naturalmente, ma ci sono anche altri modi possibili per pensare la musica, come si diceva poco sopra.
4-4-2 trovo che sia uno dei momenti più brillanti del disco. Un pezzo che strizza l’occhio alle classifiche se vogliamo. Entrando nel dettaglio tecnico calcistico possiamo definirlo un modulo “classico”. Uno dei primi schemi che s’insegnano ai bambini appunto. Estendo il concetto.
Mi viene da pensare a come ci sia bisogno oggi di fare un passo indietro nella semplicità, in un mondo che vuole apparire smart (4-4-2) ma che alla fine è peggio di una 3-4-1-2 che mi diventa una 3-5-2.
Siete d’accordo? Cosa ne pensate in merito.
Visto il nostro successo economico, direi che strizza l’occhio alle classifiche della categoria Berretti più che altro. Ha una componente infantile in quanto filastrocca e in quanto il testo della prima parte, più “seria”, parla di infanzia, di scuola, di quello stupore di cui si diceva. La ricerca della semplicità “pop”, di quel possibile terreno condiviso leggero che sia accessibile a tutti (senza essere per questo kitsch) è stata una costante di tutto il lavoro sul disco, tutto fatto di sfrondamenti e tagli. Se non sei il Barcellona, se non hai un trequartista di livello, devi lavorare sui fondamentali: e questi sono i fondamentali, se vuoi fare canzone (e raggiungere la salvezza nel Campionato Berretti).
Avete scritto un brano su Lisa Simpson. Parlatecene un po’ e raccontateci il perché di questa particolare scelta.
Lisa è un bel simbolo di tante cose: dell’amore fraterno e familiare, della capacità di andare oltre i propri limiti, del valore di studiare e non sprecare il proprio tempo (“Non si sta stravaccati a vedere il tempo passare”, dice la canzone) – ma insieme anche del valore di non disprezzare chi, intorno noi, non segue quegli stessi obiettivi, gli Homer e Bart di ciascuno di noi, per intenderci. E poi, ogni gruppo ha un brano dedicato a una donna – Deborah, Mariù, Maddalena, Maria, Geneviève… Non volevamo essere da meno, a nostro modo.
“Vita di Galileo” è un brano toccante. Quel ritornello ripetuto a mantra sembra un monito. Almeno, io l’ho percepito così: non dimenticarsi che siamo tutti uguali, a discapito di quello che pensiamo di noi stessi e del nostro ego.
Sì: il Galileo di riferimento della canzone è il Galileo di Brecht. Da un lato (almeno nella nostra lettura spuria), un eroe positivista del metodo scientifico, della vittoria della scienza sulla superstizione, dell’ateismo orgoglioso. Dall’altro però un uomo debole, che abiura per salvarsi la vita: un essere imperfetto, deludente… Ma in fondo “Anche il sole è soltanto un’altra stella fra le tante”, ogni scoperta sarà rimpiazzata da un’altra scoperta, e noi restiamo esseri finiti, “vermi dalla vista un po’ annebbiata” – scrive Brecht… il verso chiudeva la canzone nella prima versione.
Sempre in tema “galileiano”: abiurare oggi sembra un gesto lontano secoli ma per me ha solo cambiato forma. Oggi si abiura da se stessi cambiando idea ogni post su Facebook. Quanto è importante tener fede alle proprie convinzioni?
Galileo ha abiurato pubblicamente per salvarsi la vita: chi può biasimarlo? È molto meglio l’umanità di Galileo della presunta divinità dei martiri e degli eroi di ogni causa. “Morire per delle idee, vabbè, ma di morte lenta”… meglio non rischiare. È importante restare fedeli alle proprie convinzioni, è importante anche saper superare le proprie convinzioni, essendo consapevoli della propria finitezza. È fondamentale più che altro non scrivere puttanate su Facebook.
Come avete scelto il titolo dell’album e perché?
La canzone che dà il titolo all’album è ispirata a un film di qualche anno fa, Re della terra selvaggia in italiano, Beasts of the Southern Wild in inglese – da cui le “creature selvagge”: è un film (tratto da un bel testo teatrale) che parla di una bambina (tornano sempre…) alle prese con un mondo post-apocalittico, che non è chiaro se sia un futuro lontano o la contemporaneità di persone che vivono intorno a noi, a un livello più basso della scala sociale. Le creature selvagge sono quelle del film… ma niente spoiler. Poi la metafora ci è piaciuta, l’idea di questi esseri che sfuggono al controllo e al razionale si è estesa alle canzoni, che sono diventate le nostre creature selvagge.
Lastanzadigreta è candidata al premio Tenco, nella sezione opera prima. Come ci si sente?
A differenza di tutti gli altri premi di canzone d’autore (e ti garantisco, ce li siamo fatti quasi tutti) il Tenco non è basato su una piccola giuria di “addetti ai lavori” che decidono, ma su una rappresentanza di oltre 200 giornalisti. È un meccanismo perfettibile, e finire nella cinquina comprende anche una buona dose di tempismo e culo… detto questo, la sensazione che delle persone – molte persone – abbiano ascoltato il disco, e lo abbiano scelto fra molti, ti dà fiducia sul futuro di quello che si fa ogni giorno, e che spesso comprende 99% scazzi e 1% fare musica, quando va bene. Non si deve vivere del giudizio altrui e dell’approvazione altrui, soprattutto se si vuole fare musica originale. Ma ogni tanto una pacca sulla spalla serve a tutti.
Questa intervista è stata realizzata qualche giorno prima che venissero decretati i vincitori del suddetto premio. Ecco come si è classificata lastanzadigreta.
Emiliano Gambelli