Intervista alla compagnia Instabili Vaganti sul progetto Il canto dell’assenza, ultimo capitolo della trilogia Rags of memory Performing Arts Project.
Strana ed esotica realtà teatrale quella rappresentata da Instabili Vaganti: un duo fondato a Bologna nel 2004 da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola. Regista, performer e artista visiva lei, performer e drammaturgo lui, prediligono la tematica sociale e l’attualità. Raccontandola attraverso vari idiomi, la lingua del corpo, l’impatto emotivo. Una ricerca che parte dalla tradizione per trasformarla in sperimentazione, sposando etica ed estetica. Il canto dell’assenza è il nuovo lavoro che va a completare la trilogia Rags of memory Performing Arts Project ma, intanto è pronto anche un libro: Stracci della memoria. Si tratta forse di un primo bilancio della propria storia? Lo scopriremo con questa intervista.
Il canto dell’assenza è un progetto inserito nel programma dell’Anno europeo del Patrimonio Culturale 2018 e selezionato nel programma di residenze artistiche Della morte e del morire 2018 dell’Associazione Culturale Dello Scompiglio. Da quali esigenze nasce e come si è sviluppato?
Il canto dell’assenza fa parte del nostro progetto di ricerca Rags of memory, che indaga il tema della memoria intesa come parte integrante dell’essere umano, ed è la terza performance della Trilogia della memoria, insieme a Il sogno della sposa e La memoria della carne. Ciascuna performance indaga un diverso aspetto della memoria: quella individuale, quella storica e infine quella antropologica. Insieme, le tre opere creano una sorta di cammino nella memoria universale dell’umanità. Il canto dell’assenza esprime il terzo dei tre nuclei d’indagine: quello antropologico – che è anche legato al patrimonio culturale, artistico e performativo che ci appartiene – e alla sua rielaborazione in chiave contemporanea attraverso il linguaggio performativo.
Durante la residenza alla Tenuta dello Scompiglio abbiamo concentrato il lavoro sul concetto di “assenza”, che per noi viene rappresentato dalla “saturazione dei ricordi” e di conseguenza dei suoni, delle immagini e delle parole. Inoltre, in accordo con il tema espresso nel bando Della morte e del morire, abbiamo indagato riti sacri e profani legati al culto dei morti e alle celebrazioni funebri tradizionali, in particolare quelli connessi al canto e alla musica. L’esigenza artistica sottesa all’intero progetto Rags of memory, di cui Il canto dell’assenza fa parte, è quella di indagare ciò che della memoria di un popolo sopravvive nel singolo individuo e come il performer contemporaneo può rielaborare e riattualizzare artisticamente tale patrimonio, attraverso il confronto interculturale. Facendolo apparire universale, condiviso e attuale. L’esigenza sottesa alla performance è, invece, soprattutto quella di completare la trilogia attraverso un’opera compiuta.
Da esso è nato anche un omonimo libro edito da CUE Press: com’è accaduto?
Rags of memory è nato del 2006. Nel 2016, in occasione delle celebrazioni per i dieci anni del progetto, abbiamo cominciato a teorizzare la possibilità di una pubblicazione che racchiudesse la ricerca compiuta e le esperienze attraversate. Abbiamo sempre pensato che un progetto di sperimentazione e formazione debba poter essere diffuso in vari modi: attraverso i workshop, la condivisione del lavoro creativo, la visione dei materiali performativi ma anche e soprattutto tramite la lettura di un testo capace di raccontare l’intero progetto e le differenti fasi che lo hanno caratterizzato. Sentivamo la necessità di conservare, di “fissare nella memoria” il nostro percorso.
La scrittura, ancora oggi è forse uno degli strumenti più efficaci per raccontare il cammino compiuto e non solo per esprimere i risultati raggiunti. Abbiamo proposto il progetto a Mattia Visani di Cue Press e lui è stato subito entusiasta: dalla collaborazione con la casa editrice è nato il volume Stracci della memoria. Abbiamo cercato di mantenere il nostro carattere anche nella scrittura, realizzando un’opera ibrida che racchiude in sé differenti linguaggi, dall’approccio teorico al racconto, dal manuale di pedagogia teatrale al diario di viaggio, cercando di rendere la complessità di un progetto come Rags of memory che esplora nuove modalità di espressione artistica e di comunicazione teatrale attraverso l’interazione con discipline. Come l’antropologia culturale, le arti visive, i nuovi media, la danza, la musica e ogni altra forma ed espressione artistica di cui l’uomo possiede memoria.
Il canto dell’assenza è la terza e ultima performance della Trilogia performativa che costituisce Rags of memory Performing Arts Project: dopo cosa succederà?
Sul piano performativo i tre nuclei sono conclusi con quest’ultima sperimentazione ma il progetto è ancora aperto: vi saranno, nei prossimi mesi, altre tappe del progetto costituite da percorsi formativi con giovani performer che accompagneranno tutto quest’anno. In particolare la prossima tappa riguarderà un ciclo di workshop, dal titolo The sound of absence, articolato in tre week-end, 10 e 11, 24 e 25 novembre, 1 e 2 dicembre, presso il nostro spazio a Bologna, il LIV- Performing Arts Centre.
Ci piacerebbe poi continuare a sviluppare, magari in un’altra residenza artistica, Il canto dell’assenza, per poter poi finalmente presentare la trilogia performativa completa. Stiamo inoltre traducendo in inglese il libro Stracci della memoria che vorremmo presentare anche all’estero a cominciare dalla Svezia, dove dal 17 al 20 gennaio 2019 siamo stati inviatati per tenere una conferenza sul progetto all’International Platform for performer Training, presso l’Academy of Music and Drama, all’Università di of Goteborg.
Già dal nome – Instabili Vaganti – la vostra compagnia si connota come girovaga: quando questo continuo viaggiare ed esplorare influenza la vostra drammaturgia e come si traduce nei vostri lavori?
Il nostro nome è diventato identificativo anche del nostro modo di essere. Per comprendere la nostra visione, pensiamo sia utile citare Gilles Clément: “Lo spostamento degli animali corrisponde a un viaggio, quello dei vegetali a un vagabondaggio. Lo spostamento degli esseri umani corrisponde all’irrequietezza”. La nostra irrequietezza e curiosità ci ha spinti a cercare in altri paesi quello che spesso non avevamo qui in Italia e ci ha portato a trasformarci da cittadini locali in cittadini planetari, avendo il mondo intero come palcoscenico sul quale agire.
Chiaramente questo aspetto ha influenzato molto il nostro linguaggio artistico, che nasceva già con l’obbiettivo di essere universale e che nel tempo si è arricchito anche dell’esperienza mondiale, del plurilinguismo e del confronto interculturale. Il nostro nuovo progetto di produzione, The Global City, nasce da una collaborazione produttiva tra il Festival FIDAE in Uruguay e il Teatro Nazionale di Genova, su una drammaturgia originale, scritta da Nicola Pianzola, già in tre lingue: Italiano, Spagnolo e Inglese. Lo spettacolo, che debutterà ad agosto 2019 in Uruguay e ad ottobre 2019 a Genova, sarà un viaggio sensoriale (acustico, visivo, etc.) attraverso i luoghi che ci hanno accompagnati in questi anni di circuitazione mondiale, in particolare le grandi megalopoli del pianeta dove abbiamo diretto in nostri progetti.
Il vostro punto di vista internazionale vi permette uno sguardo un po’ più privilegiato e acuto sulla situazione italiana del teatro: cosa potete dirne?
Per quanto ci riguarda spesso i confini del teatro Italiano sono per noi un po’ stretti, soprattutto la suddivisione in generi precisi che rende poco permeabile la scena contemporanea e a volte rappresenta un ostacolo alla circuitazione di prodotti “diversi”, poco definibili e catalogabili. A volte ci sentiamo un po’ degli outsider, altre volte però ci sentiamo pienamente “Italiani” e siamo contenti di rappresentare l’alta qualità artistica del nostro paese all’estero. Sicuramente il sistema di finanziamento del teatro Italiano ha diverse lacune e non favorisce la circuitazione e l’ospitalità internazionale, e quindi, di conseguenza, il confronto. Il nostro spesso è un mondo molto piccolo in cui è difficile avere continuità e serenità, cosa che spesso può condizionare molto il lavoro di una compagnia come la nostra, abituata a spaziare tra i generi, gli spazi e le situazioni in cui si trova ad operare.
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Con il nuovo anno gli Instabili Vaganti torneranno ancora una volta in India: ma prima li attendono nuove sfide, workshop e presentazioni letterarie. Chi può li segua: non se ne pentierà assolutamente.
[…] Strana ed esotica realtà teatrale quella rappresentata da Instabili Vaganti: un duo fondato a Bologna nel 2004 da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola. Regista, performer e artista visiva lei, performer e drammaturgo lui, prediligono la tematica sociale e l’attualità. Raccontandola attraverso vari idiomi, la lingua del corpo, l’impatto emotivo. Una ricerca che parte dalla tradizione per trasformarla in sperimentazione, sposando etica ed estetica. Il canto dell’assenza è il nuovo lavoro che va a completare la trilogia Rags of memory Performing Arts Project ma, intanto è pronto anche un libro: Stracci della memoria. Si tratta forse di un primo bilancio della propria storia? Lo scopriremo con questa intervista. Continua su CulturaMente. […]