Dario Agrimi, artista pugliese, formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, vive e lavora a Trani.
La sua arte viene spesso definita concettuale o iperrealista, a volte visionaria, perché rompe gli schemi e osa. Agrimi non ha paura, stupisce lo spettatore, lo infastidisce e lo mette alla prova. Attraverso i suoi lavori Dario Agrimi ci induce ad una riflessione profonda sulla nostra società.
“Non dice chi è”. Qual è il processo creativo che ha portato a quest’opera?
È un’opera che nasce sul tema del carnevale. Ma in realtà funziona con tutto, perché il nero va su tutto (ride ndr). “Non dice chi è” è quella parte di male che c’è in ogni persona. Ognuno prova a nascondere e mascherare la parte maligna di sé, ma alla fine viene sempre fuori.
Le cose che rimangono più impresse nella nostra memoria sono quelle negative, non quelle positive. Quindi, più “fai male” allo spettatore più lui sarà colto da quello che hai fatto. La gente guarda il telegiornale perché è violento. Le notizie sono violente. Siamo in un mondo violento. Io preferisco dare fastidio.
Mi parli dell’installazione Limbo?
Ti avvicini all’opera pensando che sia solida e in realtà è liquida. Quindi, il mix di due percezioni sensoriali, che poi sommate all’odore del petrolio e ad altre sensazioni, danno il valore all’opera.
E l’opera Ascesa?
Vedere una persona in quella posizione ti fa pensare che sia in caduta. In questo caso, il titolo svela la reale condizione, in “Ascesa”. Quindi, c’è anche un gioco sulla percezione visiva. È un gioco di prestigio, inganna, perché è una posizione anormale. Non potresti risalire. La si potrebbe vedere come una resurrezione. Forse quello che vorrebbero tutti, risorgere. Anche se non è detto, perché non sai realmente quanto staresti bene da morto. Magari staresti meglio.
Cosa accomuna questi tre lavori?
Sono, tutti lavori sull’equilibrio. L’ equilibrio precario dell’esistenza. Passato, presente e futuro. Il passato ce l’hai, il presente sta passando, il futuro è incerto. “Non dice chi è” sale. “Limbo” non sai se sta morendo o sta vivendo. “Ascesa” che lì è a 45°. Sono in una situazione di divenire.
Nella performance video Nume, tu sei il protagonista della scena. Tunica bianca, barba e capelli incolti: sembri un po’ il messia. Dopo una lunga e silenziosa attesa concludi con la frase: “In questo video non accade nulla, come tutte le volte in cui invochiamo Dio”. Spesso affronti il tema religioso? Qual’è il tuo rapporto con Dio?
Penso che Dio sia la più grande invenzione dell’uomo. É divertente, notare come nel tempo, ciò che è stato creato è diventato creatore. Come si può credere in qualcosa per cui non c’è nessun tipo di prova. Non c’è nulla che possa farci pensare che esista. E se Dio si manifesta attraverso la natura come dice qualcuno (Spinoza? ndr) vuol dire che il genere umano non gli piace per niente. Per me la natura è il più grande serial killer, non ha pietà; fa quello che deve fare, secondo il suo criterio, ovvero il caso o il caos. Quindi, il tema religioso è un tema importante per me. C’è da divertirsi.
Con l’opera “Nuovi dei” rispondi alla domanda “ormai esiste solo il dio denaro”?
È sempre e solo esistito il dio denaro. Prima il baratto, poi hanno inventato il denaro. Chi dice i soldi non fanno la felicità non è povero. Vai a dirlo ad un povero! I soldi non fanno la felicità è una frase da ricchi. Invece fanno la felicità, perché se sei povero non puoi curarti, non puoi avere un tetto non puoi avere quello che desideri. I soldi sono la felicità, perché la felicità è fare quello che ti pare.
Puoi spiegare perché sono bucate?
Ho sottratto alle monete il 64,5% della somma del loro peso, il che corrisponde a ciò che un italiano in media spende in tasse rispetto a tutto quello che percepisce in un anno. È una cosa vergognosa. Quindi quello che ci resta sono delle monete bucate.
Recentemente hai esposto un’opera realizzata con 30 banconote da 100mila lire?
Si tratta di una biografia della lira. Ti rendi conto di come nel tempo un conio si sia modificato fino a diventare un simbolo. L’idea alla base di quel lavoro è che non c’è limite al peggio, per quanto uno possa andare avanti va sempre peggio. Gli anziani dicono “si stava meglio quando si stava peggio” ed è realmente così. Ti rendi conto che per quanto si possa toccare il fondo, c’è sempre da scavare.
Hai utilizzato lo stesso titolo per due lavori concettualmente diversi, un’installazione e un quadro “Amor di patria”. (Il quadro è stato acquisito ed esposto dall’ambasciata italiana ad Ankara ndr).
Il primo è la scultura che rappresenta l’Italia microscopica di due centimetri fatta con un materiale equivoco che ricorda la cocaina e quindi la dipendenza dal luogo in cui si vive. Molto spesso l’amor di patria è frainteso. Il problema è la fede. Le persone devono credere in loro stesse, non in qualcun’ altro o in qualcos’altro e contare su quelle che sono le proprie risorse.
Nel quadro invece ci sono due persone che tirano la bandiera italiana, una da un lato e una dall’altro. Lo si può leggere in chiave politica. Una delle due è ridotta in mutande e c’è questo tira e molla. Da quando esiste il mondo funziona così: tanto a pochi e poco a tanti. Quindi, chi dice che si salverà l’Italia non ha alcun tipo di problema, anzi continua a mangiarci su; chi sta lì a sperare che qualcuno salvi l’Italia soffre inerme e invece dovrebbe darsi da fare. A chi dice che salverà l’Italia in realtà non importa niente perché sta comodo. Non risolverà niente, perché, risolvere il problema significherebbe auto eliminarsi. Quando il vero problema è chi dovrebbe risolverlo non c’è molto da fare.
Recentemente hai realizzato alcune opere chiamate “Raptus”. Come nascono?
Raptus “d’amore” perché una buona parte della violenza è quella domestica. Io prendo delle copie di opere d’arte stampate, trovate, le acquisisco e poi le distruggo e poi reincornicio ciò che resta dopo l’atto fisico. Quindi, visto che ogni individuo vive la sua battaglia personale, il raptus, è l’esternazione di tutte le negatività. Quando uno arriva al limite, lo supera, distruggendo quello che fa. In questo caso distruggo quello che ha fatto qualcun’ altro, su cui magari, si è basata una parte della storia dell’arte. Distruggo qualcosa che mi è stato utile perché è nella natura dell’uomo distruggersi. Distruggo una parte della mia natura di artista. Nel momento in cui distruggi un’opera d’arte che hai studiato, che hai apprezzato, di cui ti sei innamorato ti stai privando di una parte per reinventare e rinnovare.
Trovo interessante la serie “Aloni”, ti va di spiegare meglio di cosa si tratta?
Sono ready made, stampe d’albergaccio, anni ’60 – ’70 su cui faccio uno studio della tavolozza dei colori con cui è stata realizzata l’opera. Come se qualcuno facesse una copia mettendo a fianco quattro o cinque colori ad olio dati puri, che con il tempo rilasciano appunto l’olio che contengono.
L’opera è l’alone, ovvero, l’anima del colore che trasuda attraverso il tempo e resta. È come se “Aloni” fossero dei fantasmi di quello che è stato il vissuto dell’opera che c’è sotto. Quando io arrivo a recuperare quell’opera significa che è stata da qualche parte, ha fatto dei giri, ha guardato chissà quali scene, chissà quanta vita di tante persone, quello che ne resta è l’anima.
Sei anche docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Come si approcciano i tuoi allievi all’arte?
Solo il futuro ci dirà se si sono approcciati nel modo giusto oppure no. L’accademia si è evoluta in maniera esponenziale e offre tutti i mezzi per creare. Ai miei tempi era diverso. Per me, la chiave sta nella curiosità, nell’approfondire, nel chiedersi il perché delle cose. Ricerca e la sperimentazione, che sono caratteristiche della scienza, fanno si che l’approccio all’arte sia diverso.
Per visionare tutte le opere dell’artista (che sono davvero molto numerose) www.agrimidario.com o la pagina Facebook qui
Silvia Bilenchi