Il vino aromatico piemontese per eccellenza, che si spinge oltreoceano tentando l’insospettabile abbinamento con la cultura hip hop.
E’ uno dei generosi regali dell’enologia piemontese. Diverse testimonianze storiche lo vogliono protagonista già negli antichi banchetti di Greci e Romani. Alcuni documenti segnalano il “Moscatellum” nel comune di Canelli a partire dal XIV secolo. Il nome Moscato secondo alcuni deriva da “muschio”, per via delle sue caratteristiche aromatiche.
Un importante impulso alla coltivazione del vitigno si deve al duca di Savoia, Emanuele Filiberto detto “Testa d’Fer” e alla ristrutturazione dei suoi territori del 1560. La tradizione del Moscato sopravvive poi nel tempo grazie alle famiglie locali. Una vinificazione da sempre artigianale, fino alla nascita del Consorzio dell’Asti nel 1932.
La Doc la Docg e l’equivoco ricorrente.
Il riconoscimento della DOC del 1967 e della DOCG nel 1993 lo traghettano nei tempi moderni. Il Moscato d’Asti è spesso al centro di un equivoco, scambiato sovente con l’Asti Spumante. Un prodotto totalmente differente ma che visti i volumi di vendita più cospicui lo ha spesso oscurato.
Nel 2015 però è investito da inattesa notorietà, diventando all’improvviso un simbolo del mondo rap. Succede infatti che Jay-Z contestando il mondo ingioiellato dei ricchi, decide di boicottarne una delle icone più rappresentative, lo champagne. Polemica singolare visto il patrimonio miliardario costruito insieme alla compagna Beyoncè.
Il Moscato d’Asti nei testi della cultura Hip Hop.
Di fatto però promuove in alternativa il Moscato d’Asti che diventa immediatamente il vino dell’Hip Hop, a cui si fa riferimento anche nei testi. Moscato got her freaky Aye you got me in a trance, ovvero “il Moscato la rende strana e tu mi mandi in trance”, oppure I’ma sip Moscato and you ‘gon lose dem pants, cioè “sorseggio Moscato e tu ti levi i pantaloni” canta Waka Floka Flame, a suggellare lo strano connubio tra colline Piemontesi e ambientazioni metropolitane.
L’involontaria operazione di marketing frutta 20 milioni di bottiglie esportate negli Usa e porta all’impennata della produzione. In casa nostra invece il Moscato d’Asti non è apprezzato come meriterebbe, con i consumi erroneamente relegati quasi esclusivamente alle festività natalizie.
Prodotto da uve Moscato Bianco nelle provincie di Asti, Alessandria e Cuneo, è un vino dal moderato tenore alcolico che viene imbottigliato prima che la fermentazione sia interamente completata, risultando a volte delicatamente frizzante. Da bere giovane per distinguerne i tratti qualitativi.
Un centinaio le cantine che lo producono, tra queste Ca’Ed Balos, Bera, Cavallero, La Morandina, Cerutti, Saracco sanno esaltarne le qualità, ma molti altri potrebbero tranquillamente allungare la lista. Il carattere aromatico del vitigno regala profumi eleganti di fiori bianchi, erbe aromatiche, delicata frutta estiva e agrume.
Capacità di abbinamento che si spingono oltre il dolce.
Oltre ad essere l’abbinamento ideale per panettone e pandoro, va benissimo per tutti i dolci lievitati a pasta morbida, come ciambelloni o plumcake, la pasticceria secca o con delicate crostate ai frutti aciduli. É in grado si spingersi anche più in là accostandosi gradevolmente alla frutta, tipo le diverse varietà di melone, oppure ai formaggi morbidi e al foie gras. Qualcuno lo preferisce anche con le ostriche.
Le sue caratteristiche aromatiche si prestano bene anche agli abbinamenti con la cucina etnica. Localmente è molto apprezzato nella classica merenda tradizionale con i salumi e viene anche utilizzato al posto del marsala nella preparazione dello zabaione. Come nella ricetta della chef Mariuccia Roggero nel suo Antico Bunet monferrino con zabajone al Moscato d’Asti “Moncalvina” e lingue di gatto, vera delizia di pasticceria.
La versione secca si aggiunge a quella tradizionale.
La nuova sfida del moscato però è il lancio della versione dry, con 700 mila bottiglie prodotte da 16 cantine che puntano decisamente alla fascia più giovane dei consumatori. I cosiddetti millenials, dalle tendenze di gusto ancora non irrimediabilmente definite e più disponibili alla novità e alla sperimentazione.
L’obiettivo non è certo quello di scimmiottare il prosecco, ma di creare un prodotto che si caratterizzi per una sua precisa identità. Che il consorzio punti molto sul Moscato Dry lo dimostra l’investimenti nella campagna di lancio. Progetto che supera il miliardo di euro, iniziato lo scorso anno e che si protrarrà fino alla metà del 2018
Bruno Fulco