“I Quaderni di Archestrato Calcentero. Divagazioni archeogastronomiche in terra di Sicilia” di Marco Blanco, edito Bonfirraro.
“La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura” C. L. Strauss
La citazione di Strauss ben riassume il focus del manoscritto di Blanco. Un’opera in cui l’ars culinaria si fonde con l’evoluzione storica di una regione, la Sicilia, ricca di tradizioni e folklore. Grazie all’ausilio di liste di spesa, registri presi dagli archivi monastici, conventuali e nobiliari, ricettari d’epoca, l’autore ha messo nero su bianco il patrimonio gastronomico siciliano del 1700 e 1800.
“Nessuna ricetta di successo è rimasta inalterata dei secoli”
Basterebbe questa frase per far comprendere al lettore l’essenza e la bellezza di quest’opera. Un saggio in cui il termine tradizione non viene usato quale sinonimo di campanilismo, ma di evoluzione.
Partendo dagli ingredienti o ricette di uso comune, l’autore sottolinea le similitudini e le diversificazioni rispetto agli alimenti attualmente usati. Una somiglianza che si riflette nell’utilizzo di ingredienti che ancora occupano le nostre dispense. Dall’altra una differenza che ha origine nella commistione di elementi che variano a seconda del contesto aristocratico o convenutale in cui venivano preparati.
Blanco ha egregiamente svelato in ogni capitolo – con la delicatezza di chi sa gustare e non “mangiare” nel senso più sterile della parola – l’evoluzione di portate a noi note.
Un approfondito disquisire sul “perchè della caponata”, nonché sulle “varie salse agrodolci” conducono il lettore nell’universo della “scapece”. Falsamente attribuita agli arabi, le origini di questa salsa agrodolce è squisitamente romana. Superata l’epoca del Garum, i romani conservavano il proprio cibo mediante questa mistura di olio aceto e miele, appunto scapece. Oppure pensiamo all’arancino o arancina, dilemma ancora irrisolto, ma che l’autore ha saputo, forse, in piccola parte districare con grande umiltà.
Interessanti sono i capitoli che trattano dei singoli ingredienti. Scoprirete che davvero la cucina è un universo di cui sappiamo poco. Basta leggere la storia del pomodoro per comprendere che non conosciamo quasi nulla sulle origini di ciò che mettiamo in tavola. Le nostre conoscenze “archegastronomiche” sono solo il frutto di un colorito tramandare di generazione in generazione che si discosta dalla realtà.
Blanco vi farà venire voglia di conoscere la storia culinaria del luogo in cui abitate.
Bisogna attendere la seconda parte del manoscritto per essere catapultati nel mondo dei dolci. Ancora una volta i monasteri rappresentano l’embrione dell’arte dolciaria. La digressione parte dall’ingrediente base, lo zucchero e l’autore ne illustra le origini, gli utilizzi più disparati fino alluso vero e proprio, quello culinario.
Anche in questa seconda parte si sottolinea come il tradizionale e tipico non hanno un valore universale e onnicomprensivo. Evidenziando inoltre, la capacità degli abitanti del luogo di fare di “necessità virtù” tanto ieri quanto oggi. Ciò si comprende solo leggendo il capitolo sul cioccolato di Modica e di come l’Antica Dolceria Bonajuto abbia saputo fare un passo oltre.
Gli approfondimenti sono numerosi. Pensiamo alla Cassata Siciliana, su cui si apre un mondo ricco di storia. Di sicuro, dopo aver letto questo libro, cucinare e mangiare non sarà più la stessa cosa.
Interessante sul finire è l’ultimo (ma non per importanza) intervento fatto a quattro mani dalla scrittrice Simonetta Agnello Hornby e del giornalista siciliano Carlo Ottaviano (direttore editoriale di Gambero Rosso). Partendo dalla metodica culinaria francese esaltano l’arte e la fantasia gastronomica squisitamente italiana, dibattendo in maniera eccelsa sull’opera di Blanco.
In conclusione, il saggio rappresenta decisamente un’opera inedita nel panorama letterario/gastronomico italiano. Un importante elemento per conoscere la storia di una Regione ancora tutta da scoprire.
La cucina quale luogo di accoglienza, passione e convivialità
Ciò che più stupisce è, ad avviso di chi scrive, il velato messaggio che si cela davanti al ruolo di primo piano che conventi e monasteri hanno avuto nella tradizione culinaria siciliana. Non solo strumento per elevare lodi di ringraziamento a Dio, ma “strumento di coesione comunitaria”. Un messaggio che oggi ancor più di ieri è necessario. La tavola è quel luogo di fraterna convivialità, in cui non solo ci prendiamo cura dei commensali, ma siamo noi stessi parte della storia. Un giorno, la cucina che noi oggi conosciamo muterà completamente le sue vesti per assumerne di nuove. Evolvendosi e conformandosi ai connotati di una società ancora da scoprire.
Angela Patalano