Il Lambrusco raggiunge i principali mercati mondiali di consumo del vino portando nel bicchiere l’anima del terra e la giovialità della sua gente.
E’ il vino che incarna l’allegria e lo spirito dell’Emilia Romagna. Tracce della sua presenza si riscontrano già nelle Bucoliche di Virgilio come nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Gli scritti narrano di questa pianta a crescita spontanea, presente già duemila anni fa intorno ai campi coltivati.
Le prime testimonianze sulla coltivazione sono datate 1300, mentre si deve ad Agazzotti nel 1867 la descrizione delle tre principali varietà coltivate. Lambrusco di Sorbara, Salamino di Santa Croce e Grasparossa di Castelvetro. Il Lambrusco è coltivato anche a Parma e nel Mantovano, ma Modena e Reggio Emilia rimangono i maggiori riferimenti produttivi. Da li inizia il viaggio per milioni di bottiglie necessarie a fronteggiare le preferenze d’acquisto nella Gdo.
Identico il successo riscosso in giro per il mondo, dove è in pianta stabile nel novero dei vini più diffusi. Una bella rivincita da quando negli anni 70, esportato in grandi volumi negli USA veniva chiamato Italian Cola e considerato quasi più come una bevanda spumeggiante. Da allora l’opera di ristrutturazione dei vigneti e la selezione delle uve, ha portato la crescita qualitativa ai livelli attuali.
Un vino che rappresenta il paese anche nel suo metodo di produzione
Vino frizzante prodotto per lo più attraverso il metodo Martinotti, fermentazione in autoclave che prende il nome dal suo ideatore. Oggi il Lambrusco è un vino trasversale, fa parte del patrimonio comune a patto di non chiedergli quello che non può dare. E’ il vino della festa, della leggerezza e della convivialità spensierata.
Per questo motivo da sempre esercita grande appeal sulle masse mettendo d’accordo intere generazioni. Omaggiato dagli antichi poeti e dai protagonisti della cultura italiana contemporanea. Mario Soldati lo definiva “l’umile champagne dell’Emilia Romagna”, il grande Luciano Pavarotti lo appellava come “spumante selvaggio e ineducato”.
Luciano Ligabue gli regala il titolo del suo secondo album “Lambrusco coltelli rose & pop corn”. Album pregno di storie e personaggi della sua terra, dove il Lambrusco si rilvela nella sua genuina presenza. Nel brano Lambrusco & pop corn che recita ”Vieni qua: c’è un bicchiere di vigna e un vassoio di mais già scoppiato”, c’è tutta l’anima del vino ed il suo legame con la dimensione umana del territorio.
Spumante o frizzante viene prodotto nelle versioni secco, amabile o dolce, a volte anche in rosè. Ad accomunarli il gusto fresco, fragrante e l’esuberanza della sua morbida schiuma violacea. Chiarli e Cavicchioli sono certamente tra le cantine di riferimento per il Lambrusco. Nel gruppo di quelli che ne stanno sviluppando al meglio le potenzialità La Cantina di Carpi e Sorbara, Ermete Medici, La Pederzana, Cantine Ceci, Giacobazzi, Pezzuoli, Cantina Formigine Pedemontana.
Un gusto fruttato e fragrante che si sposa perfettamente alla cucina del suo territorio
I profumi spaziano sulle note della piccola frutta rossa, fragole, lamponi, ribes, ciliegie, fino ai sentori floreali di viola. Sulla tavola i suoi compagni ideali sono i piatti della tradizione emiliana. Oltre a zampone e cotechino, benissimo con bolliti misti e arrosti di carni bianche. Con lasagne, tortellini e tutti i tipi di pasta ripiena, il pesce d’acqua dolce anche in frittura e il parmigiano.
E’ un classico con la ricca e variegata salumeria locale, dalla mortadella fino ai ciccioli da gustare con lo gnocco fritto e le tigelle del modenese. Piatto tipico è il risotto al Lambrusco con salsiccia e parmigiano reggiano, che ben impiega la qualità degli ingredienti locali.
Gli chef emiliani lo utilizzano in ogni sorta di preparazione, dai primi piatti al dolce. Lo chef Claudio Sordi al Taste of Christmas di Bologna lo ha utilizzato nel suo Gelato al vin brulé di Lambrusco, salsa al Panettone Gattullo, polvere di gorgonzola e crumble allo Za’atar.
Bruno Fulco