Si conclude lo splendido fine settimana di Io Vino all’insegna dei vitigni autoctoni

vini delle marche

Nel Castello di Santa Severa Io Vino si conferma come uno degli appuntamenti più seguiti nel panorama romano delle degustazioni.

Il pubblico ha riversato il suo affetto sulla manifestazione anche per la terza edizione di Io Vino. L’evento  figlio dell’Associazione Omonima quest’anno ha saputo migliorarsi ancora, confermando il suo percorso di crescita. Merito degli organizzatori Romina Lombardi e Manilo Frattari, che anche questa volta hanno saputo costruire un calendario di appuntamenti interessanti.

Sempre più belli i luoghi scelti da Io Vino.

La location non poteva essere più bella, il Castello di Santa Severa sulla via Aurelia. Sito veramente suggestivo con un borgo all’interno, tra piazzette, cortili e terrazze a vista piena sul mare. Le due Anime dell’Associazione Culturale sono prima di tutto grandi appassionati, oltre che delle questioni enoiche anche del territorio. Di come i due aspetti si fondano tra loro, in un contesto culturale estremamente rappresentativo di ogni luogo.

Una lunga esperienza di degustazione tra Lazio e Campania.

L’approccio su cui si fonda Io Vino è sempre stato questo e, la loro attenzione nel tempo si è sempre più focalizzata tra le Marche e la Campania. Territori limitrofi al Lazio che grazie alla loro vicinanza, hanno avuto modo di conoscere in maniera approfondita. Per quanto riguarda l’identità territoriale, in fatto di vino niente riesce a descriverla meglio di come possano fare i vitigni autoctoni. Aspetto da sempre primario nell’organizzazione di Io Vino.

Il vitigno che esprime il territorio.

La possibilità di sentire come lo stesso vitigno sappia leggere tante realtà diverse, non ha eguali per chi è appassionato di vini e vuole approfondirne i contenuti. Realtà distanti anche pochi chilometri di distanza, che si esprimono attraverso il connubio tra il vitigno e la mano dell’uomo. Una fuga dallo stereotipo che rende omaggio alla terra e alla sua cultura locale.

Quello che rende i tanti appuntamenti come Io Vino, molto più interessanti per chi vuole veramente approfondire il territorio attraverso le sue uve, è proprio questo. Certamente molto più interessanti delle grandi kermesse piene di “sbicchieratori” che si esercitano nel procurarsi il tunnel carpale senza aggiungere nulla alla propria cultura enologica. La passione dei due organizzatori era evidente già nel programma, costruito per la folla intervenuta nella giornata di Domenica.

Non sono mancati i grandi approfondimenti.

Tra i seminari anche quello sul Greco annata 2013 condotto da Monica Coluccia, esperta comunicatrice del territorio e dei vini campani, insieme ad Alessio Pietrobattista giornalista e presenza fissa nel panel di degustazione per la guida vini del Gambero Rosso. Le aziende del percorso di degustazione insieme a tante altre, erano presenti con annate più recenti anche tra i banchi d’assaggio. Una nutrita schiera frutto dei legami con i produttori, che Manilo e Romina nel tempo hanno intrecciato durante la loro esperienza diretta sul territorio.

Grandi espressioni di tutti i vitigni. Chi lavora bene non lo fa su un solo vitigno, ed ecco che le distinzioni tra le tipologie hanno spesso poco senso. Anche se vini come il Fiano di Rocca del Principe, o il profilo internazionale di quello di Villa Diamante o del Greco di Cantine di Marzo, rimangono impressi nella memoria gustativa.

Dalla Campania l’Aglianico affianca i grandi bianchi.

Grandi bianchi certamente anche quelli di Sertura e de I Favati, che proponeva anche un Aglianico che saprà farsi ricordare. Come quest’ultimo anche quelli di Antico Castello, de il Cancelliere, il Fren di Stefania Barbot o il Castellabate dell’Azienda Sangiovanni.

Tra gli altri Campani impossibile non menzionare Villa Matilde portabandiera della tradizione del Falerno, oppure un classico come i vini della Costiera Amalfitana targati Marisa Cuomo. Azienda che forse più di tutti utilizza una notevole quantità di vitigni autoctoni, a cui si deve il merito di averne salvati diversi dall’estinzione. Accanto ai mostri sacri però, notevole anche la produzione in bianco de Le Masciare e del suo simpatico produttore Olandese.

Analogamente anche le Marche non deludono mai e, questa edizione di Iovino ha sottolineato come accanto al Verdicchio, l’ascesa di Pecorino e Passerina sia sempre più significativa nella viticultura marchigiana. Che sia di Matelica o dei Castelli di Jesi, il Verdicchio si dimostra ancora una volta tra i migliori vitigni a bacca bianca italiani. Tra i presenti il Cambrugiano e gli altri vini di Belisario sono sempre un bel bere, ed altrettanto si può dire per i vini di Montecappone, quelli di Enrico Ceci e il Frocco di Vignedileo.

La viticultura marchigiana che va oltre il Verdicchio.

Tra questi da inserire certamente anche Marotti Campi che produce anche una grande Lacrima di Morro d’Alba. Dagli altri vitigni invece tante sorprese come la Passerina Notturno di Tenute Recchi Franceschini, vitigno trattato ottimamente anche dall’Azienda San Michele a Ripa. Villa Forano invece ha proposto Le Piagge, Ribona Doc altrimenti detto Maceratino. Vitigno molto interessante e fine nella versione spumantizzata in metodo classico dallAzienda Sant’Isidoro, che lo vinifica anche in versione fermo nell’ottimo Paucis.

Il Pecorino ha trovato invece un’ottima espressione nei vini di Le Canà, Cocci Grifoni e di Le Cantine di Figaro, che lo impiega nel Letix insieme ad altri vitigni. Altro autoctoni presenti e poco conosciuti, il Bianchello del Metauro a cui Fiorini rende onore con il Tenuta Campioli, e la Vernaccia di Serrapetrona vinificato da Podere sul Lago, una conferma come sempre. Nel complesso grande qualità che insegna come per bere bene non sia necessario un capitale. Occorre solo la voglia di indagare il territorio alla ricerca dell’autenticità.

Bruno Fulco

Iscritto all’Ordine dei Giornalisti e diplomato presso l’Associazione Italiana Sommelier, da sempre appassionato di enogastronomia come veicolo di scambio e collegamento tra le diverse culture. Viaggiatore entusiasta specie nelle realtà asiatiche e mediorientali. La fotografia completa il bouquet delle passioni irrinunciabili con particolare attenzione al reportage. Ricerca ostinatamente il modo di fondere questi elementi in un unico elemento comunicativo.

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