La quinta edizione di nebbiolo nel cuore 2018 è ormai alle spalle e ancora una volta non ha deluso gli appassionati che sono intervenuti al Radisson Hotel di Roma.
Tra i produttori tornati di nuovo tra i banchi d’assaggio e quelli che si sono affacciati per la prima volta, Riserva Grande ha assicurato anche per questa edizione un ampio campione qualitativo del mondo del nebbiolo. Il celebre vitigno Italiano, protagonista di molte tra le bottiglie più importanti dell’intera produzione del belpaese, ha garantito come sempre l’ampia soddisfazione del pubblico.
Uno schema ormai perfezionato negli anni.
L’ormai collaudata formula prevedeva oltre ai banchi d’assaggio, seminari e approfondimenti che come sempre si sono rivelati di grandissimo interesse. Un marchio distintivo diventato negli anni uno dei punti di forza della manifestazione. Qua e la tra i banchi erano presenti anche rappresentanze di altri autoctoni piemontesi. Ma il protagonista è stato senza dubbio lui, il nebbiolo.
La grande possibilità di esplorare a tutto tondo il suo mondo, dalle langhe piemontesi fino ai territori Lombardi della Valtellina. Una viticultura fatta di cuore e fatica in equilibrio straordinario con la natura. Tra gli approfondimenti proposti questa volta, la degustazione condotta da Marco Cum, che metteva a confronto Barbaresco, Barolo e Roero. Tutti 2010 e provenienti da differenti cru delle Langhe.
Quello di Andrea Petrini invece, proponeva la comparazione “alla cieca” su nebbioli provenienti da diversi territori. Denominatore comune dei due approfondimenti, la relazione del vitigno con il territorio. La sua propensione all’unicità, che si esprime diversamente regalando sempre vini straordinari.
Il nebbiolo raccontato da chi lo produce.
Che sia tra gli splendidi vigneti di Langa o tra le meravigliose terrazze vitate della Valtellina il nebbiolo non delude mai. Tra i banchi di degustazione poi, Nebbiolo nel Cuore ha offerto come sempre la possibilità di confrontarsi con chi di nebbiolo vive. Produttori per cui il vitigno rappresenta il centro della loro attività, se non anche della loro vita.
L’esperienza di poter parlare direttamente con i produttori di vigna, clima, vinificazioni, stagioni e natura, vale più di bere mille bottiglie. Specialmente quando la viticultura non è affare semplice come in Valtellina. Un confronto che loro hannpo saputo regalare in ampia disponibilità e che aiuta ad entrare in intimità con il vino. L’indicazione del percorso per stabilire con esso un rapporto più autentico e personale.
Storia, tradizione e cultura.
Un’occasione per travalicare il bicchiere e scoprire le radici culturali a cui il vino è legato a doppio filo. Tra i banchi d’assaggio il legame del vino con la storia del belpaese si è appalesato, ad esempio con l’Azienda Anselma Giacomo di Serralunga d’Alba. Condotta da Franco Anselma nipote del fondatore e dalla vulcanica signora Maria, che l’ha rappresentata raccontando la loro tradizione centenaria.
Di quando la produzione di Barbera, Dolcetto e Barolo, era riservata esclusivamente all’attività di ristorazione di famiglia. Altri grandi interpreti del nebbiolo Tenuta Cucco, Palladino, Gianni Gagliardo e il sempre grande Barolo di Ettore Germano, una garanzia per gli amanti di questa declinazione territoriale del nebbiolo.
Notevoli anche il Barolo Rocche dell’Annunziata di Aurelio Settimo, con cinque annate proposte in verticale, quelli di Burzi con il Capalot in primis e poi il Barolo di Mario Marengo, piccola azienda che trasuda passione per la viticultura d’autore. In ultimo lui, in realtà primo assoluto e icona di tutti i barolisti, Il Monprivato di Giuseppe Mascarello, autorità indiscutibile nel mondo del Nebbiolo che presentava anche l’altro Barolo, dal cru Perno.
Barolo e Barbaresco insieme ai grandi vini della Valtellina.
Anche il Barbaresco ha dato grande prova di se con diverse espressioni, tra cui il Campo Quadro e l’altro Barbaresco di Punset e gli strepitosi vini di Piero Busso, provenienti da quattro cru diversi. Assaggiando questi ultimi si è avuta proprio la percezione di come all’interno di uno stesso comune, in questo caso Neive, il vitigno riesca a leggere le sfumature pedoclimatiche, restituendo quattro vini di estrema personalità.
Per tutti quelli che solo da poco flirtano con il vino, sarà stata una sorpresa scoprire che la grandezza del Nebbiolo non si esaurisce con Barolo, Barbaresco e Roero, ma si estende anche in terra lombarda ed oltre. Ne è esempio il Ghemme di Tiziano Mazzoni del Novarese, oltre alla nutrita rappresentanza Valtellinese tra cui l’Azienda Le Strie, i Grumello di Giorgio Giamatti e il Sassella dell’Azienda Balgera, che tra gli altri presentava la versione 2005, uno dei vini più coinvolgenti dell’intera sala.
Bruno Fulco