Roma e la fotografia, un binomio perfetto, un connubio inestricabile. Se amate la fotografia e ancor di più la Città Eterna non potete perdervi la mostra Roma nella camera oscura.
Allestita al piano nobile di Palazzo Braschi, affacciato sulla splendida piazza Navona, Roma nella camera oscura è un tributo non solo alla Città eterna ma anche alla fotografia, una forma d’arte meravigliosa.
Inaugurata lo scorso 27 marzo, questa mostra, curata Flavia Pesci e Simonetta Tozzi e promossa da Roma Capitale, (Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali), rappresenta un’occasione irrinunciabile per farsi rapire dalla bellezza.
Suddivisa in nove sezioni Roma nella camera oscura ripercorre, attraverso oltre trecento immagini, il particolare legame fra l’Urbe e la fotografia.
Vari sono i livelli di lettura proposti: dalla possibile ricostruzione della storia e dell’evoluzione delle tecniche fotografiche, alla comprensione del ruolo specifico svolto da tanti artisti in base alla tipologia del proprio lavoro, fino alla possibilità di “leggere”, secondo nuove e moltiplicate chiavi interpretative, la città stessa, in un percorso storico-fotografico che illustra globalmente il contesto visivo di Roma.
Dagli albori di questa arte, nata 180 anni fa, fino ai nostri giorni, con al centro sempre e comunque la città di Roma, vista attraverso obiettivi ogni volta differenti ma sempre “magici”.
Non si può non rimanere incantati davanti a una delle prime fotografie che si incontrano nel percorso espositivo.
Si tratta di un’antica stampa in albumina risalente al 1860, scattata dal fotografo Robert MacPershon e raffigurante un torrione emergente dal lago di Ninfa, località a sud di Roma.
Per molti anni la fotografia è stata il miglior modo per documentare l’antico e per esaltare le vestigia capitoline, riproducendo inquadrature ideate nei secoli precedenti dai grandi vedutisti, come ad esempio Piranesi.
Antichità e fotografia, un’unione per decenni indissolubile.
Tutto testimoniato da una messe di straordinarie immagini, molte delle quali presenti nella mostra, che raffigurano le meraviglie della Roma imperiale.
L’Arco di Tito, il Foro, il Colosseo, ovviamente, ma anche luoghi meno noti ai più ma di eguale bellezza, come nel caso della Meta sudans, antica fontana della Roma imperiale, collocata a pochi passi dall’Anfiteatro Flavio e rimossa nel 1933, nell’ambito dei lavori per la creazione di via dell’Impero.
Non solo, però, capolavori dell’antichità ma anche i simboli della cristianità, di cui la fotografia si impossessò quasi subito per renderli eterni.
Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e naturalmente San Pietro.
La chiesa, cuore pulsante dell’universo cattolico, è ampiamente presente nella mostra di palazzo Braschi, attraverso vedute non sempre scontate.
Particolarmente suggestiva è un’immagine del 1850, di Robert Eaton, che mette in luce, non solo il possente profilo della basilica petrina, ma anche la celebre Spina di Borgo, quell’affascinante groviglio di case che precedevano l’ampio colonnato beniniano, distrutto nel corso dei lavori per la realizzazione dell’attuale via della Conciliazione.
Impossibile non soffermarsi anche su un’altra magnifica fotografia.
Ancora una volta l’oggetto è la basilica di San Pietro ma ritratta, stavolta, in modo decisamente anomalo.
Non attraverso la celebre cupola michelangiolesca o la possente facciata realizzata da Carlo Maderno, ma dal punto di vista della gente comune.
Nel 1929 il fotografo Adolfo Porry Pastorel, italianissimo nonostante il cognome farebbe supporre altro, ritrasse una folla immensa in piazza San Pietro, in una piovosa giornata.
Uno stuolo di ombrelli, ripresi dando le spalle alla basilica, con in lontananza, ancora una volta Spina di Borgo.
Non solo antichità e religiosità. Roma nella camera oscura è uno sguardo sulla campagna romana, sulle celebri ville capitoline, sul Tevere e sui nuovi quartieri fuori dalla cinta urbana.
Allora ci facciamo rapire dalla rovine dell’Acquedotto Claudio, ritratto in una rarissima foto del 1868.
Ma anche dal profilo imponente dell’appena costruito Monumento a Vittorio Emanuele II, fotografato in occasione dell’inaugurazione solenne nel 1911.
Ma forse la sezione che maggiormente incanta il visitatore, è quella legata a quella quotidianità in cui tutti ci riconosciamo.
Bellissima, a tal proposito, la stampa in sali d’argento che Ottaviano D’Agostini realizzò nel 1967 intitolata Quartiere Don Bosco.
Si vede una porzione di piazza Don Bosco, cuore pulsante dell’omonimo quartiere della periferia romana.
Fra giovani alberi ancora incapaci di stagliarsi, dei ragazzi giocano a pallone mentre una donna, ripresa di spalle, scruta l’orizzonte di palazzi ancora in costruzione.
Accanto a lei un bambino in terra che stringe fra le mani i suoi giochi.
Sempre in questa sezione, di rilievo è la foto che ritrae dei manifesti elettorali affissi sui muri del centro di Roma.
Si tratta di poster elettorali, inneggianti a votare un giovane ma ambizioso John Kennedy.
Decisamente suggestiva è anche l’ultima sezione della mostra, intitolata Attraverso lo specchio negativi su lastra.
Si tratta dell’esposizione di una serie di lastre in vetro al collodio umido e ai sali d’argento realizzate tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del secolo scorso.
Questi preziosi negativi, di cui sono in mostra solo una piccola parte di quelle conservate presso l’Archivio fotografico del Museo di Roma, sono presentati al pubblico in una suggestiva veste retroilluminata che ne esalta ancora di più la bellezza e l’originalità.
Ecco allora l’immancabile basilica di San Pietro.
Fu ritratta alla fine del XIX secolo, in occasione di una solenne benedizione papale.
Dal sacro al profano.
Ecco il negativo di una corsia dell’ospedale Littorio, l’attuale San Camillo, negativo del fotografo Umberto Sciamanna risalente agli anni Trenta del Novecento.
Il percorso espositivo si chiude nelle sale al pianterreno di Palazzo Braschi con la sezione Ritratti.
Si tratta di ritratti di personaggi famosi, modelli in posa e interni di studi d’artista ottocenteschi, ma anche di tableaux vivants, i “quadri viventi” molto diffusi tra fine Ottocento e primo Novecento.
Si esce da Roma nella camera oscura, visitabile fino al prossimo 22 settembre, pieni di meraviglia per un binomio, quello fra la capitale e la fotografia, che ancora oggi non smette di esistere anche nelle immagini di tutti i giorni.
Maurizio Carvigno