Remo Bianco a Milano: formidabili gli anni dal dopoguerra in poi

museo del novecento

Al museo del Novecento in piazzetta Reale, la mostra di un artista che ha vissuto la grande stagione creativa della città dal dopoguerra agli anni Ottanta

Remo Bianco a Milano, un artista fecondo, con un grande slancio per l’innovazione, pronto a sperimentare. La mostra che si è aperta al Museo del Novecento, in piazzetta Reale, presso l’Arengario, con vista su Piazza Duomo, ha qualcosa di affascinante.

Remo Bianco, artista poco conosciuto al grande pubblico, restituisce ai visitatori di oggi una testimonianza vivida della Milano degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. In un ricordo di Marina Abramović, Remo Bianco viene descritto come un uomo di vivace curiosità intellettuale, aperto di vedute e originale. Non stona, dunque, vedere un nutrito gruppo di 70 opere in mostra nella sala del terzo piano del museo del Novecento, quella dedicata a Lucio Fontana.

Remo Bianco a Milano. Una storia italiana

Nato a Milano nel 1922 da una famiglia non benestante, l’artista studia ai corsi serali di disegno dell’Accademia di Brera e là conosce il suo primo maestro, Filippo De Pisis. Dal 1948 iniziano le sue prime sperimentazioni di opere a tre dimensioni, realizzate dipingendo lastre su vetro.

Bianco conosce il movimento Nucleare e lo Spazialismo ed espone per la prima volta, nel ’53, i suoi 3D alla galleria Montenapoleone di Milano, presentati da un testo di Lucio Fontana. Nel 1955, una borsa di studio lo porta a New York, dove incontra l’arte gestuale di Jackson Pollock.
Nel 1956 scrive il Manifesto dell’Arte Improntale, nel quale dichiara, tra l’altro:

“L’arte dell’avvenire è posta sotto il segno dell’improntale. Impronta è tutto ciò che resta impresso nel nostro subcosciente; impronta della società stessa, in quanto immagine di tutti quei condizionamenti che l’essenza della vita oggi comporta. Dichiaro perciò che l’uomo non può evitare di essere impronta di una società che continuamente muta e ci circonda sempre di cose nuove”.

Formidabili gli anni delle avanguardie artistiche

L’artista attraversa le decadi più creative delle avanguardie artistiche milanesi: un periodo in cui il suo lavoro è ricerca e continuo cambiamento. Ci sono le Impronte, poi i Sacchettini, una riflessione sul significato della memoria. Nei sacchettini Bianco mette piccoli oggetti, ninnoli, giocattolini, resti simbolici e inquietanti del passato. Analoga vocazione nostalgica si ritrova nelle Sculture neve, personali rievocazioni dei soprammobili con la neve finta. Una sperimentazione che mette insieme visivo, sonoro e l’idea di un nuovo rapporto con lo spettatore è data, invece, dai Quadri Parlanti: avvicinandosi alla tela si sente la voce dello stesso artista, quasi una richiesta di contatto. In mostra anche i Tableau Dorés, le Pagode, oltre a interessanti materiali documentali.

L’esposizione “Remo Bianco. Le impronte della memoria” è aperta al pubblico fino al 6 ottobre, al museo del Novecento a Milano.

Claudia Silivestro

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