La classe, la bellezza, la dolcezza, la capacità unica di interpretare ogni volta personaggi diversi fra loro con la naturalezza che solo i grandissimi attori hanno. In una solo parola Marcello Mastroianni, e Roma, la sua città adottiva, lo ricorda con una mostra tutta da vedere.
Inaugurata lo scorso 26 ottobre la mostra “Marcello Mastroianni” al Museo dell’Ara Pacis di Roma, rappresenta un tributo imperdibile a uno dei più grandi attori di sempre.
Un uomo che con la sua «silhouette così discreta – come disse una volta Mario Monicelli – senza parole inutili, così auto ironica, ha portato nel mondo intero un’idea della nostra civiltà, della nostra cultura, che ben pochi altri hanno saputo offrire con la stessa eleganza.»
Roma, dopo l’omaggio alla grandissima Monica Vitti, tributa un lungo, infinito applauso a una delle pietre miliari del nostro cinema, a quel Marcello Mastroianni, (all’anagrafe Marcello Vincenzo Domenico Mastrojanni), che tutto il mondo ha amato.
La mostra, curata da Gian Luca Farinelli, ha un titolo icastico ma bellissimo: Marcello Mastroianni.
In fin dei conti i “grandi” hanno bisogno solo del loro nome, al massimo del cognome e nulla di più, perché ogni aggettivo risulterebbe pleonastico.
La mostra è suddivisa in tredici sezioni, capitoli di una storia irripetibile, ricostruita attraverso fotografie, testimonianze, video, recensioni, originali dei copioni dei suoi film, oggetti e preziosi cimeli.
Al centro di tutto sempre e solo lui, quel “Marcelo”, come lo appellava Anita Ekberg, immersa nella Fontana di Trevi nel celebre film La Dolce Vita, che avrebbe voluto fare l’architetto.
«Un architetto -amava ripetere Mastroianni- realizza cose solide che rimangono mentre di un attore rimangono delle ombre, delle ombre cinesi.»
Ombre meravigliose quelle disseminate da Mastroianni che del cinema, di quella scatola dei sogni si innamorò fin da piccolo.
«Mi sono nutrito di cinematografo e con me tutta la mia generazione.»
Perché Marcello, come i suoi coetanei, nel buio della sala, mentre girava un ronzante proiettore, semplicemente sognava.
Inseguiva con la fantasia i grandi miti americani come Gary Cooper o Clarke Gable, appassionandosi, però, anche ad attori più difficili, meno popolari come Jean Gabin e Louis Jouvet, espressioni di quel cinema francese decisamente più impegnato.
Non solo il cinema ma anche il teatro, che lo vide entrare «dalla porta d’oro» con il grande Luchino Visconti, una pagina meno conosciuta della carriera.
Ma anche e naturalmente la famiglia, la base di partenza nella vita di Marcello Mastroianni.
Fili di un’unica, straordinaria trama, intrecciata con un ardore non comune.
Profili di una personalità complessa che questa rassegna ci restituisce appieno, con venature di nostalgia e di tenera intimità.
Nulla rimane intentato nella bella mostra “Marcello Mastroianni” che rimarrà aperta fino al 17 febbraio 2019 e che narra Marcello attraverso la sua stessa voce.
Perché a condurre per mano il visitatore nelle diverse sale in cui si articola la rassegna, è lo stesso attore e il racconto soave di sé che lasciò come ultima, splendida eredità.
Stiamo parlando del bellissimo docufilm Mi ricordo, sì, io mi ricordo che la regista Anna Maria Tatò, ultima moglie di Mastroianni, girò nel 1996 e che fu presentato nel maggio dell’anno successivo al Festival di Cannes fra l’entusiasmo generale di critica e pubblico.
Un mastice che tiene uniti ogni tassello di questa mostra, che regala continui colpi di scena.
Si ride con la celebre scena della pasta e ceci nell’indimenticabile I Soliti ignoti, di cui quest’anno ricorrono i sessant’anni; ci si commuove per Una Giornata particolare di Ettore Scola con Sofia Loren con cui l’attore, recitò in diversi film, dando vita alla coppia più straordinaria di tutto il cinema italiano.
Non poteva mancare, nella mostra allestita negli spazi museali sottostanti all’Ara Pacis, una delle pagine più importanti e significative della carriera di Mastroianni: Federico Fellini che Marcello incontrò per la prima volta a Fregene, nel 1959, per parlare di un nuovo film: La Dolce Vita.
L’attore, per darsi un certo contegno e volendo dimostrare di essere avvezzo a quelle situazioni, chiese al regista di poter leggere il soggetto del film.
Ennio Flaiano, uno degli sceneggiatori, passò a Mastroianni una cartelletta gialla all’interno della quale Mastroianni trovò un disegno di Fellini, piuttosto singolare.
«Si vedeva -raccontò Mastroianni – un uomo che nuotava pigramente in mezzo a grandi sirene, giganteschi, procaci. Guardai Fellini a lungo e dissi “molto interessante”, in realtà non avevo capito niente. Ma avevo l’impressione che non avrei dovuto preoccuparmi, sentivo già che era nata la nostra intesa.»
Pensare che Il produttore Dino De Laurentis avrebbe volto, nella parte che fu poi di Marcello, niente di meno che Paul Newman; ma Fellini si oppose e pretese Mastroianni.
Il successo mondiale avuto con La Dolce vita avrebbe potuto travolgere Mastroianni; lui, però, seppe cambiare e reinventarsi, consapevole del ruolo di attore.
A chi gli chiedeva con insistenza qualcosa sulla recitazione, spontaneamente ripeteva:
«Credo debba esserci sempre il distacco tra l’attore e il personaggio che interpreta. Anzi, bisogna che ci sia sempre un occhio che ammicchi ironico, come a dire: oh, non la menare tanto, ricordati che stai facendo una recita, non è che stai vivendo questo personaggio.»
Si esce dalla mostra “Marcello Mastroianni”, attraversando una sua fotografia in cui ci saluta sorridendo, con la netta sensazione che forse la vita non ci regalerà più un simile grande attore, capace di recitare il vero.
Informazioni
Museo dell’Ara Pacis, Spazio espositivo Ara Pacis, via di Ripetta 180, Roma.
Dal 26 ottobre al 17 febbraio 2019
Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima).
24 e 31 dicembre 9.30-14.00
Chiuso il 25 dicembre e l’1 gennaio
Maurizio Carvigno