“Le spigolatrici” di Jean-François Millet: analisi del quadro

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Il Primo Maggio come tutti sanno è la Festa del Lavoro, allora perché non ricordare questa giornata con un bellissimo dipinto di Jean-François Millet?

L’artista che nell’Ottocento sconvolse la borghesia francese con i suoi quadri di denuncia sociale, cancellando il confine che separava i ricchi salotti parigini dalla miseria dei campi.

Il mondo rurale e la realtà contadina sono sempre stati tra i temi più amati dal Millet che si dedicò nel corso della sua carriera artistica alla rappresentazione quasi fotografica di scene di vita umile e quotidiana, ritraendo donne e uomini consumati dal lavoro e dalla povertà.

L’Infuso d’arte di oggi è “Le Spigolatrici” realizzato nel 1857 e conservato al Musée d’Orsay. L’opera venne presentata lo stesso anno al Salon di Parigi dove diede scandalo provocando le proteste da parte dell’alta società che vedeva nel quadro una diretta accusa nei propri confronti.

Potete visionarlo qui.

Cosa sta succedendo nel dipinto?

Millet raffigura con l’immediatezza di un’istantanea fotografica tre contadine che raccolgono le spighe di grano sparse nei campi dopo la mietitura. Le donne sono chine a terra, la schiena è ricurva, come animali da soma, sono condannate ad un lavoro faticoso e ripetitivo. Nonostante i volti siano nascosti, il pittore analizzò dettagliatamente le tre figure, sottolineandone le mani gonfie per il lavoro, gli abiti modesti e popolari, la pelle arsa dal sole.

Le tre spigolatrici sono ritratte dal pittore povere sì, ma piene di imperturbabile dignità. Nel quadro si respira un’atmosfera eroica, quasi epica, accentuata dal loro atteggiamento cristallizzato e dalla loro solida monumentalità. Si trattava difatti di un’opera di dimensioni molto grandi, generalmente riservate alla pittura storica, un caratteristica che valse al dipinto la denominazione, all’epoca sprezzante, de “le tre grazie dei poveri”.

Ma cosa ci fa entrare nel quadro?

Il realismo di Millet riesce sorprendentemente a varcare i confini che separano la nostra realtà dalla campagna dove si svolge la scena. Entriamo in empatia con le tre donne, sappiamo già cosa dovranno fare per il resto della giornata: si chinano, raccolgono le spighe e si rialzano. Possiamo sentire sulla schiena il peso imposto dalla fatica e dal lavoro, il sole scottarci il collo nudo mentre la luce radente del tramonto sfiora i campi circostanti.

Queste povere contadine diventano immediatamente il simbolo del proletariato rurale, incarnando la condizione di miseria e sacrificio che imperversava nelle campagne di tutto il mondo, dove schiere di lavoratori con lo sguardo umilmente rivolto al suolo consumavano le proprie giornate senza un minimo di riposo.

Due parole sullo stile…

L’immagine si presenta ai nostri occhi come una fotografia, effetto dovuto anche dalla composizione sviluppata in orizzontale. L’inquadratura scelta dall’artista è panoramica, permettendo all’osservatore di perdersi nella vastità del cielo illuminato dalla romantica luce del tramonto che inonda l’orizzonte. Il paesaggio così ritratto si apre ai nostri occhi in tutta la sua dolente bellezza, scontrandosi con l’immagine cruda e reale della dura esistenza umana.

Il punto di vista si focalizza verso il basso per permettere allo spettatore di concentrarsi sulle tre figure in primo piano, dignitose protagoniste del dipinto, conferendo a questo quadro di genere una monumentalità nuova e rivoluzionaria.

Anche per oggi l’Infuso d’Arte è finito! Non mi resta che augurarvi una buona Festa dei Lavoratori con questa chicca culturale in più! 

Martina Patrizi

Martina Patrizi
23 anni, laureata in letteratura e linguistica italiana all'università degli studi di Roma Tre. Amante dell'arte e della vita, mi tuffo sempre alla ricerca della bellezza e di una nuova avventura. La mia frase è "prima di essere schiuma, saremo indomabili onde".

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