L’arte segreta di Marisa Merz in mostra a Lugano

Marisa Merz

Ha aperto in questi giorni a Lugano nei locali della collezione Giancarlo e Danna Olgiati, la mostra personale dal titolo Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici.

Un evento assolutamente da non perdere, non soltanto per il valore indiscusso dell’artista, senz’altro una delle voci più originali della scena contemporanea italiana e internazionale, cui non a caso non sono mancati negli ultimi anni riconoscimenti prestigiosi come il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2013, o la retrospettiva The Sky is a Great Space al Metropolitan Museum di New York nel 2017. Ma anche perché essa interviene ad appena due mesi dalla morte di Marisa Merz, avvenuta nella sua Torino lo scorso 19 luglio all’età di 93 anni.

Da qui il particolare significato simbolico di questo allestimento che, tramutato dalle circostanze in omaggio postumo, non ha tuttavia nulla di didascalico, e nel quale è possibile anzi ancora riconoscere in maniera distinta, con tutta la sua forza espressiva, la mano sapiente dell’artista, coinvolta nelle fasi di montaggio della mostra fino a pochi giorni prima della morte.

Una ricerca interiore oltre l’Arte Povera

L’esordio artistico di Marisa Merz avviene come noto nel 1966, con l’esposizione di alcune enigmatiche sculture in lamine di alluminio nel suo studio torinese.

Comincia qui una carriera artistica eccezionale, che la porterà già alla fine degli anni Sessanta a partecipare (e per certi versi ad anticipare) le tendenze del movimento dell’Arte Povera individuato da Germano Celant, di cui proprio Merz sarà l’unica esponente femminile.

Rispetto ai compagni di quell’esperienza – tra gli altri Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, e anche il marito Mario Merz, sposato nel 1960 – Marisa Merz si distingue, però, sin da subito, per l’elaborazione linguaggio espressivo più intimista che, attraverso l’uso di materiali come la cera, l’argilla, i fili di rame o il nylon, e il parallelo recupero di tecniche tradizionali del lavoro femminile, quali ad esempio la maglia o il cucito, sembra sempre attingere la propria forza da una dimensione coerentemente interiore, quasi segreta.

Un’opera continua alla ricerca di geometrie invisibili.

Di questo percorso ultra-cinquantennale, lo spazio espositivo curato da Beatrice Merz, e frutto di una felice collaborazione tra collezione Olgiati, Fondazione Merz e MASI (Museo d’Arte della Svizzera Italiana), offre uno spaccato prezioso, legato a una delle costanti più suggestive dell’opera dell’artista, ovvero il tema della “ricerca sul volto o meglio sulla figura” (B. Merz).

In un allestimento denso ma ben bilanciato, il corpus di 45 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, oltre che dalla stessa fondazione Olgiati, sembra intrecciare un dialogo continuo che prescinde dalle coordinate temporali o dalla singolarità del pezzo (la maggior parte delle opere esposte, secondo una consuetudine dell’artista, sono infatti senza titolo e data).

Tra sculture, disegni e installazioni più o meno noti – accanto a opere celebri come le scarpette intessute in filo di rame, o la serie di piccole teste in argilla, non mancano infatti gli inediti. Quello che sfila davanti agli occhi del visitatore è, allora, un itinerario senza tempo o meglio un “disegno espanso” (Mariano Boggia) dove volti e linee geometriche, tracciati e talvolta appena suggeriti con straordinaria delicatezza, si susseguono in un rapporto di derivazione e contaminazione continuo, il cui tratto unificante sta in fondo nella ricerca inesausta di uno stupore, di una rivelazione improvvisa di fronte all’esistente. 

Marisa Merz. Geometrie sconnesse palpiti geometrici.
Collezione Giancarlo e Danna Olgiati. 
Lungolago Riva Caccia 1, Lugano.
A cura di Beatrice Merz.
Dal 22 settembre 2019 al 12 gennaio 2020

Francesco Bonelli

Redazione CulturaMente
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