“Il Mangiafagioli” di Annibale Carracci a Palazzo Colonna: analisi

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Tutti noi abbiamo visto almeno una volta quest’anonimo contadino, il Mangiafagioli del Carracci, che, seduto in una taverna, consuma avidamente la sua minestra.

Infatti ogni dispensa che si rispetti ha tra i suoi scaffali “Il talismano della felicità”, un famoso ricettacolo della tradizione culinaria italiana, che ha reso indirettamente molto nota l’immagine di questo affamato signore con il cappello di paglia ed il cucchiaio in mano.

L’ignoto commensale è diventato un personaggio conosciutissimo nella storia dell’arte e della cucina nostrana, la rappresentazione più vera e reale di quella che noi chiameremmo bonariamente una buona forchetta. Eppure è solamente un uomo, un poveretto per di più, che mangia il suo pranzo prima di tornare a lavoro. Ma c’è qualcosa nel dipinto non trovate? Una sensibilità toccante, un non so che di profondamente comunicativo che proviene direttamente dagli occhi fissi del protagonista su di noi.

L’opera di oggi è il Mangiafagioli realizzata da Annibale Carracci intorno al 1583 e conservata presso la galleria di Palazzo Colonna a Roma. Uno dei quadri di genere più famosi del maestro bolognese e forse della storia della pittura.

Potete visionarlo qui.

Cosa sta succedendo esattamente nel dipinto?

La tela raffigura un popolano che siede a tavola intento a consumare il suo piatto di fagioli. L’uomo è evidentemente affamato, non si è nemmeno levato il cappello per mangiare. Si capisce chiaramente anche dalla mano che tiene stretto un pezzo di pane, quasi come se lo volesse staccare in fretta per saziare il suo avido appetito.

Sulla tavola sono ritratti altri piatti semplici: oltre al pane, la cipolla, una verdura ed il bicchiere di vino rosso. La scena è ambientata in una classica taverna dove non si nota alcun tipo di lusso o dettaglio elegante. La tovaglia è di semplice stoffa bianca, siamo di fronte alla pura realtà della vita quotidiana dell’epoca, una normale osteria dove pranzare prima di tornare faticosamente a lavoro.

Cos’è che ci fa entrare nel dipinto?

È proprio la quotidianità dell’opera a catturarci. Il Carracci sceglie come soggetto un contadino sconosciuto che consuma un altrettanto piatto anonimo, una scodella di fagioli, il piatto popolare per eccellenza. A catturare l’interesse dell’osservatore è soprattutto lo sguardo diffidente del personaggio ritratto, quasi scostante, da animale selvatico che sorveglia il proprio pasto.

Abbiamo l’impressione di trovarci nel quadro, magari seduti alla tavola di fronte l’ignoto commensale, anche noi con il nostro piatto di minestra, mentre silenziosamente soddisfiamo la fame, ognuno chiuso nella propria solitudine. Quest’opera del Carracci è un vero e proprio frammento di vita che potrebbe essere trasportato nella quotidianità di un moderno fast-food.

Due parole sullo stile…

Lo scopo del pittore era proprio quello di raffigurare una scena di vita di tutti i giorni con la stessa precisione e freddezza di un’istantanea fotografica. Infatti l’uomo è immortalato nel momento esatto in cui sta mangiando, il cucchiaio è sospeso e la bocca spalancata. Ci rivolge uno sguardo impreparato per l’attenzione da cui è investito, interrompendolo proprio nel momento in cui sta per addentare il boccone.

Il dipinto del Carracci è una scena assolutamente contemporanea e ciò che più colpisce è proprio la sua toccante umanità. Quest’opera potrebbe benissimo accompagnare una delle tante fotografie che scattiamo ogni giorno e che ritraggono inconsapevolmente persone ignote sedute ad un bar, un ristorante o un parco per consumare una pausa pranzo veloce. Gli stessi individui sconosciuti, distratti dai propri pensieri che fissano il vuoto mentre mordono un boccone prime di tornare a lavoro o alla lezione dell’università. È come se fosse un nostro autoritratto.

Annibale Carracci ha realizzato un dipinto di grande modernità che quasi anticipa la nascita dell’uomo contemporaneo.

Anche per oggi il nostro Infuso d’arte è terminato, ma non preoccupatevi tantissimi articoli sono già in caldo per accompagnarvi in questo nuovo, e speriamo meraviglioso, anno!

Martina Patrizi

23 anni, laureata in letteratura e linguistica italiana all'università degli studi di Roma Tre. Amante dell'arte e della vita, mi tuffo sempre alla ricerca della bellezza e di una nuova avventura. La mia frase è "prima di essere schiuma, saremo indomabili onde".

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