Conosciamo una giovane fotografa molto conosciuta nell’ambiente artistico romano: Magnolia Gashy.
Albanese di nascita, si trasferisce a Roma da bambina stabilendo nella capitale il luogo dei suoi affetti e della sua professione. Ma il suo indomito spirito ereditato dalla “terra delle aquile” si manifesta nella sua fisicità passionale e fiera.
Ha al suo attivo migliaia di scatti, molti dei quali appartengono a collezioni private, altri riguardano le sue innumerevoli esperienze come fotografa di eventi sportivi. Scatti eccezionali che l’hanno resa famosa anche sui circuiti di Formula Uno. Ma la Magnolia Gashy che attrae con la sua forza magnetica è la fotografa dei bianco e neri drammatici e vitali che ritraggono artisti, persone comuni, sentimenti incarnati in volti senza tempo.
La tecnica che usa fissa il climax dell’esperienza percettiva e sensoriale coinvolgendo il soggetto dell’opera, come se fosse il palcoscenico della sua quotidiana esistenza, rendendo bellezza alla semplicità del gesto. Questa è la sua natura e i suoi lavori sono immediatamente riconoscibili in qualunque contesto.

Magnolia, da quanto tempo ti occupi di fotografia?
La prima volta che ho scattato una foto avevo cinque anni, con una macchina fotografica usa e getta. Sono sempre stata alla ricerca della mia prospettiva del mondo con l’intento di fotografarlo e mostrarlo agli altri.
La fotografia è Arte pura. Fissare il momento implica una capacità innata di esplorare le profondità e riportare in superficie l’attimo iconico, quello che viene mostrato al pubblico e donato alla manipolazione emotiva.
Ho sempre cercato di mettere su pellicola quello che vedo succedere intorno a me, è stata all’inizio un esigenza di esprimermi in quel modo solo dopo ho capito che si trattava di Arte.
Il fotografo è a metà tra uno sciamano moderno capace di compiere prodigi attraverso le sue tecniche e all’esercizio dell’empatia. Guai a considerarlo un “mestiere tecnico”. Sei d’accordo?
Assolutamente d’accordo. La tecnica deve essere sicuramente acquisita per poi dimenticartene e lasciarsi trasportare dall’emotività. Infatti nelle mie foto prevale sicuramente il bianco e nero. Grazie ad esso riesco ad esprimere fortemente ciò che provo nel momento in cui scatto una foto catturando e facendo trasparire l’anima che è in essa.
Ho sempre avuto l’impressione che la fotografia sia appannaggio ancora di un mondo maschile, specialmente in Italia. Le donne non osano vivere in trincea, fosse pure quella di un circuito di Formula Uno, o vengono “scoraggiate” dal monopolio maschile?
Nei circuiti regna sicuramente un ambiente prevalentemente maschile poiché è uno sport praticato quasi esclusivamente da uomini. All’inizio è difficile farsi accettare nel Circus della gare, però la professionalità e la serietà alla lunga fanno superare questo tipo di stereotipi.
Nella domanda precedente ho parlato di fotografia ad altissime velocità, quella dei circuiti di tutto il mondo perché tu sei anche fotografa sportiva. Riesci a coniugare questo lato con quello di fotografa d’arte, per cui sei conosciuta nell’ambiente intellettuale romano e non solo?
No, sono due cose completamente diverse però complementari. Due concepimenti e due modus diametralmente opposti ma legati da un’unica passione che è quella della fotografia. Preferisco maggiormente il mio lato artistico fare foto, perché rispecchia maggiormente la mia sensibilità.
I tuoi ritratti in bianco e nero sono un vero viaggio nell’inconscio. Hai operato questa scelta netta nel tuo lavoro, riservando il colore alle immagini paesaggistiche e allo sport. Questo dualismo esprime una netta separazione tra il mondo interiore e quello esteriore?
Nelle foto di tipo sportivo cerco maggiormente di catturare il lato più esteriore delle cose, anche per il tipo di ambiente che circonda questa tipologia di sport agonistico. Il mio scopo è quello di di catturare la passione ed il calore che hanno gli sportivi riguardo queste attività quindi in questo caso prediligo sicuramente il colore negli scatti.
Come ti dicevo prima, quando scatto invece foto di tipo artistico viene fuori l’altra parte di me, quella più interiore, intima e a tratti malinconica. In quel momento cerco appunto di catturare con la macchina fotografica il mondo circostante come un poeta fa con la penna.
L’ultima domanda di questa intervista, quella che riguarda le tue origini balcaniche. Cosa hai trasmesso, e se lo hai fatto, del tuo mondo culturale di origine nelle tue creazioni?
Non so se effettivamente c’è un collegamento tra le mie foto e le mie origini balcaniche. Forse da quel tipo di formazione ho ereditato una sensibilità maggiore che poi ho approfondito e messo in pratica attraverso le mie creazioni nate da un esigenza di esprimermi, questo in maniera del tutto involontaria ed inconsapevole. Di una cosa però sono certa, nonostante io viva in Italia da quando avevo due anni, l’Albania è e sarà sempre parte di me.
Antonella Rizzo