Gustave Courbet rinnovò radicalmente la rappresentazione del paesaggio: da elemento subalterno a protagonista assoluto. La mostra “Courbet e la natura” celebra questa rivoluzione pittorica e il genio francese.
Inaugurata lo scorso 22 settembre, nelle sale di Palazzo dei Diamanti, uno dei gioielli architettonici di Ferrara, “Courbet e la natura” riporta in Italia, quasi cinquant’anni dopo la retrospettiva romana, le opere del pittore d’oltralpe.
Personalità forte, Courbet determinò un cambiamento davvero radicale nella pittura, anticipando temi e stili cari a future generazioni di pittori.
La mostra ferrarese, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, è un’opportunità unica per conoscere un pittore che per taluni aspetti può essere considerato il “papà” degli impressionisti.
La mostra si articola su dodici sezioni che ripercorrono l’attività artistica di Courbet.
Si comincia con gli anni giovanili, splendidamente rappresentati dall’Autoritratto con cane nero, il cui l’artista si dipinse nelle eleganti vesti di un dandy senza rinunciare al suo carattere campagnolo.
Poi fu la volta di Parigi.
Sul finire del 1839 Courbet si trasferì nella capitale francese, una città in pieno fermento, ben diversa dalla piccola e provinciale Ornans in cui era nato nel 1819.
A Parigi, al Louvre in particolare, studiò la pittura dei grandi del passato.
Simbolo di questi anni è il dipinto Fanciulle sulle rive della Senna che fu aspramente criticato al Salon del 1857 per le dimensioni della tela, più adatte a un soggetto mitologico, ma anche per l’eccessiva sensualità delle due ragazze.
Critiche che non ferirono più di tanto Courbet che, invece, continuò a studiare concentrandosi sempre più sul paesaggio.
Proprio la natura, elemento a lui profondamente caro, divenne una sorta di ossessione.
Non più semplice corollario ma soggetto fondamentale della sua pittura. E, quando sono presenti figure animali o umane, queste vengono quasi assorbite dal paesaggio stesso, tanto che, in talune opere, a malapena si notano.
È il caso, ad esempio, del bellissimo La sorgente della Loue del 1864 in cui la figura del pescatore è fagocitata dall’immensità della parete rocciosa della grotta.
Un dipinto che palesa la passione di Courbet per la speleologia e per le rocce in genere.
Rappresentare quelle realtà misteriose e poco conosciute, significò per Courbet un attento studio dal vivo di quegli ambienti, corroborato anche dai consigli dell’amico geologo e paleontologo Jules Marcou.
A 21 anni Courbet scoprì il mare e fu un amore infinito.
Per un uomo legato alla finitezza della terra, lo sconfinato paesaggio marino fu un’autentica rivelazione.
In una lettera ai genitori scrisse di essere stato rapito dalla vista del mare che gli suscitava il desiderio di partire per vedere il mondo intero.
Questo amore si tradusse in rappresentazioni del mare sia in stato di quiete, come nel bellissimo Tramonto: spiaggia a Trouville del 1866, ma anche in piena irruenza.
Dalla finestra della casa a Etretat in Normandia, Courbet poté vedere, ammirare e analizzare la forza impetuosa del mare in burrasca.
Il risultato finale fu straordinario come evidenziato da tele come L’onda del 1869, (gentile prestito della National Galleries of Scotland di Edimburgo), per cui utilizzò diverse tecniche pittoriche, dall’uso della spatola a quello dello straccio, passando, persino, per i polpastrelli.
Nel vedere le diverse rappresentazioni delle onde Paul Cezanne esclamò: «sembravano giungere dalla notte dei tempi.»
Nel 1873 Courbet riparò in Svizzera.
Alla base di questo esilio ci fu la volontà di sfuggire alla condanna per il suo coinvolgimento nella Comune di Parigi e all’accusa di aver provocato l’abbattimento della Colonna Vendome, simbolo del potere imperiale.
Agli anni svizzeri è dedicata la penultima sala con opere di una bellezza impareggiabile.
Il suggestivo Panorama delle Alpi del 1876 ma anche le tre splendide versioni del lago di Lemano, le tele esposte.
Come nella rappresentazione delle rocce o delle onde anche in quella del lago di Lemano, dipinto in diversi momenti della giornata, Courbet studiò attentamente l’effetto della luce sulle varie superfici.
Un’analisi che influenzerà e non poco gli impressionisti, a cominciare da Monet.
Questi, nelle diverse raffigurazioni della sua Cattedrale di Rouen, farà suo l’insegnamento di Courbet.
Chiude la mostra “Courbet e la natura” l’ultima sezione, dedicata al tema della caccia.
Il pittore nativo di Ornans aveva per l’arte venatoria una vera e propria passione, praticata fin da bambino nei frondosi boschi della Franca Contea.
Emblematico di questo periodo è il suggestivo Volpe nella neve del 1860.
Questo olio su tela raffigura una volpe che ha appena ucciso un piccolo topo, il cui sangue irrora la bianca neve.
Un’opera che consacra una frase che l’artista amava ripetere: «Il bello è nella natura.»
Nella Volpe nella neve Courbet rese al meglio il contrasto fra il rossiccio manto dell’animale e la candida neve.
Per dipingere quest’ultima usò la spatola e, ricorse non solo al bianco ma anche a colori quali il blu e il nero.
Per la volpe, invece, utilizzò il pennello.
Il merito maggiore della mostra “Courbet e la natura” è quello di presentare uno dei padri del rinnovamento pittorico dell’Ottocento in una veste meno nota ma originale.
Non il pittore famoso per i suoi nudi femminili, fra cui il celeberrimo L’Origine del mondo, ma quello stregato dalla bellezza del paesaggio.
Un rapporto fecondo, come indicato dallo storico dell’arte, Vasilij Gusella, «tra la sua arte e l’ispirazione derivante dal confronto con la natura.»
Maurizio Carvigno