Damien Hirst in mostra a Roma
L’artista inglese Damien Hirst sfida gli iconici spazi della Galleria Borghese con una mostra che farà parlare a lungo di sé
È straordinaria la capacità della mostra “Archaeology Now” di Damien Hirst, ospitata all’interno dell’altrettanto celebre Galleria Borghese, di mantenere un perfetto equilibrio tra iconoclastia e rispetto nel rapportarsi con alcune tra le opere giustamente più famose della Storia dell’Arte. Del resto, stiamo parlando di un artista che ha sempre sfruttato a suo vantaggio provocazioni plateali e costosissime: squali tigre in formaldeide, un teschio di platino che esibisce una dentatura autentica ed è ricoperto di diamanti, monumentali installazioni e sculture tese a esplorare i grandi temi dell’umanità, interrogarsi sui valori della società, esorcizzare con spettacolarità la morte, mescolare con sapienza il concetto di vero e falso.
Chi nel 2017 aveva avuto l’occasione di ammirare la ciclopica “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”, con ben due sedi espositive veneziane – Palazzo Grassi e Punta della Dogana – a farle da scenario, forse credeva di aver visto tutto. Si sbagliava: Damien Hirst lancia una sfida artistica ancora più grande.
Un incontro impossibile: Damien Hirst dialoga con l’Arte Antica, Bernini, Canova e Caravaggio
Sebbene la capacità di generare una narrazione credibile nella sua inverosimiglianza sia divenuta per Hirst una cifra stilistica riconoscibilissima, con la mostra “Archaeology Now” l’artista inglese esibisce una ὕβρις che in pochi possono permettersi. Caricando sulle spalle delle proprie creazioni tutto il peso del luogo dove si formò una tra le collezioni più invidiate e ambite di sempre: quella di Scipione Caffarelli Borghese. Che ancora oggi può vantare capolavori quali i gruppi scultorei “Apollo e Dafne”, “Enea, Anchise e Ascanio”, “Ratto di Proserpina” di Gian Lorenzo Bernini, “Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice” di Antonio Canova o quadri come “Giovane con canestra di frutta”, “Autoritratto in veste di Bacco (Bacchino malato)”, “Madonna dei Palafrenieri”, “Davide con la testa di Golia” di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Per non parlare di tutta la statuaria antica, gli affreschi, i materiali pregiati scelti per decorarne le stanze che rendono la Galleria Borghese non un semplice museo ma un’opera d’arte in sé.
Un eccesso dichiarato che non teme confronti
Coerentemente con le vicende della sua fondazione – il gusto eclettico e la spregiudicata brama di possesso di Scipione Caffarelli Borghese, forte del titolo di cardinal nepote grazie all’ascesa al soglio pontificio di Paolo V – già di suo la Galleria Borghese rappresenta una vera e propria immersione nel mondo dell’Arte: per il visitatore moderno le cose da vedere sono quasi sin troppe rispetto allo spazio che le contiene. Se a ciò si aggiungono il piacere della contaminazione e il vizio dell’esagerazione tipici di Damien Hirst, il rischio di venire travolti da un’orgia kitsch appariva reale.
Invece l’artista inglese mette in scena con grande intelligenza le proprie creazioni, trasformando difetti in pregi e riuscendo a dialogare con alcune tra le opere più rinomate al mondo senza svilirle né sminuire le proprie: i due “Cerberus” del 2009 si pongono con grande coraggio di fronte allo stesso soggetto alla base del “Ratto di Proserpina”, aggiungendo qualcosa all’arcinoto capolavoro del Bernini senza togliergli nulla. Lo stesso accade con “Two Large Urns” del 2010, i cui animali in marmo di Carrara fantastici e non finiscono per decorare magnificamente la sala come fossero qui da sempre. Persino opere marcatamente più chiassose come “Grecian Nude” del 2013 o “The Diver” del 2014 riescono a sposarsi con quanto hanno intorno, fosse anche una testa colossale dell’imperatore Adriano.
Giocare con “Archaeology Now” a lasciarsi ingannare
Più sale della Galleria Borghese si attraversano più si ha voglia di prestarsi al gioco suggerito dalla mostra di Damien Hirst: ecco, allora, ritrovarsi a immaginare cosa pensa la Paolina Borghese eternata da Bernini come icona di bellezza delle due file di “Grecian Nudes” del 2012 che la scrutano senza volto; domandarsi se il multiforme “Proteus” del 2012 si trova a suo agio con statue di divinità ben più antiche; aver voglia di chiedere alle “The Severe Head of Medusa” se ritrovano una qualche assonanza del loro mitologico dramma nel serpente schiacciato contemporaneamente da Gesù e dalla Madonna o nella testa mozzata di Golia dipinti da Caravaggio.
Ovviamente immancabili le opere che puntano al sensazionale, tra cui val la pena citare: “Extraordinarily Large Museum Specimen of Giant Clam Shell” del 2010 non solo per il formato ma per la maestria del ricreare pittoricamente la superficie autentica di una conchiglia in realtà di bronzo. O il mastodontico gruppo “Hydra and Kali”, posizionato scenograficamente all’esterno per sbalordire chi si inoltra nel Giardino Segreto dell’Uccelliera. Infine l’evitabile “The Minotaur” in granito nero del 2012: la statua rappresenta il leggendario figlio di Pasifae, generato con un toro, impegnato a stuprare una donna. Opera che appare gratuitamente provocatoria rispetto al contesto in cui è inserita.
Perché visitare la mostra di Damien Hirst presso la Galleria Borghese di Roma
Per venire trascinati in un vortice di stimolanti rimandi, cogliere la sfida di un artista la cui ambizione declinata in installazioni, sculture e dipinti sembra non conoscere limiti, sperimentare in prima persona come anche le opere più conosciute possano rivelare ulteriori significati se ben accompagnate. La mostra “Archaeology Now”, resa possibile grazie alla generosità di Prada, è visitabile fino al 7 novembre 2021.
Cristian Pandolfino
Foto in evidenza: Damien Hirst, Neptune [Nettuno], 2011. Bronzo blu / Blue bronze. Collezione privata / Private collection. Ph. by A. Novelli © Galleria Borghese – Ministero della Cultura © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved DACS 2021/SIAE 2021