Ascoltare una storica dell’arte competente ed appassionata, come Francesca Curti, è un vero piacere, specie perché mette in risalto pittori meno noti al grande pubblico come i fratelli Preti.
Lo scorso 16 aprile, presso la sala delle conferenze di Palazzo Barberini, si è svolto il secondo appuntamento del ciclo di lezioni a margine della mostra Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti curata da Alessandro Cosma e Yuri Primarosa.
Titolo della conferenza Mattia e Gregorio Preti nelle collezioni Angelelli e Vallone: acquisti inediti, nuove identificazioni e inaspettate occasioni di studio.
A parlare di questi temi la dottoressa Francesca Curti, massima esperta sulla marchesa bolognese Cristiana Duglioli Angelelli e sulle sue collezioni di opere d’arte.
Proprio alla figura della nobile, è dedicato il saggio Committenza, collezionismo e mercato dell’arte tra Roma e Bologna nel Seicento. La quadreria di Cristiana Duglioli Angelelli, scritto dalla Curti ed edito da Gangemi nel 2007.
D’altra parte, parlare di Mattia e Gregorio Preti, come ha sottolineato la curatrice, (autrice anche di monografie e articoli riguardanti l’arte del Seicento, con particolare attenzione al collezionismo romano, al caravaggismo e all’urbanistica urbana,) prescindendo dal citare la marchesa Cristiana Duglioli Angelelli e il suo mastro di casa, il canonico Giovan Carlo Vallone, è praticamente impossibile.
Senza il contributo della nobildonna e del suo fidato collaboratore la fortuna dei due pittori sarebbe stata decisamente diversa.
Ben sedici furono i dipinti di Mattia Preti che la marchesa acquistò tra il 1645 e il 1650, numeri che la rendono la più importante collezionista del pittore calabrese. La prima, e forse unica, ad averlo scelto come artista di punta per una raccolta d’arte.
La dottoressa Curti ha aperto la sua conferenza, partendo da alcuni tratti biografici della marchesa Angelelli.
Appartenente ad una delle famiglie più in vista di Bologna, la nobildonna giunse a Roma nel 1644, insieme a suoi tre figli Francesco, Isabella e Laura.
Si trattò di una vera e propria fuga.
Il motivo? Molto probabilmente, l’assassinio del marito, il senatore Andrea Angelelli.
La marchesa, infatti, preoccupata per la propria incolumità e per quella dei figli, decise di lasciare Bologna per la città dei papi, aiutata anche dall’influente famiglia Barberini.
Una volta giunta a Roma, anche per «riaffermare il prestigio degli Angelelli sulla scena papale», iniziò ad acquistare opere di Mattia Preti, insieme a quelle di altri pittori protagonisti della scena romana quali: Valentin, Guercino, Bartolomeo Manfredi, Niccolò Tornioli, Michael Sweerts, JanMiel, Mario de’ Fiori, Michelangelo Cerquozzi e Niccolò Stanchi.
L’obiettivo di questa azione era duplice.
Da una parte creare in poco tempo «una collezione che fosse all’altezza di quelle delle altre famiglie romane.», dall’altra completare la quadreria iniziata dal consorte e dal suocero Giovanni, che Cristiana aveva voluto portare con sé da Bologna.
Si trattava, in vero, di una delle raccolte più importanti della città felsinea.
Fra le diverse opere di cui la famiglia Angelelli era proprietaria spiccavano autentici capolavori dell’arte emiliana di Cinque e Seicento, primo fra tutti la celebre Resurrezione di Cristo di Annibale Carracci, oggi esposta a Parigi, al Louvre.
Un’altra superba opera che arricchiva la collezione era la Crocifissione di Cristo di Guido Reni, donata nel 1669, alla morte della Angelelli, alla chiesa di S. Lorenzo in Lucina.
Straordinaria la facilità con cui la dottoressa Curti discetta delle varie opere della quadreria, frutto di diverse acquisizioni e su cui pesò enormemente la mano del Vallone.
Questi era un profondo conoscitore degli ambienti artistici romani, che iniziò a frequentare almeno dal 1635, anno in cui fu ammesso per la prima volta ad assistere alle riunioni della compagnia dei Virtuosi, ma senza facoltà di voto.
Uno dei primi acquisti della marchesa, fu quello di due opere realizzate da Valentin de Boulogne e da Bartolomeo Manfredi.
Si tratta di due «tra i maggiori protagonisti del movimento dei seguaci» di Caravaggio, raffiguranti rispettivamente un S. Girolamo e il celebre mito di Icaro e Dedalo, narrato, tra gli altri, da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
Quest’ultimo quadro, oggi esposto a Bologna nella Pinacoteca Nazionale, fu acquistato, come ricorda la Curti, proprio perché ritenuto opera del grande Caravaggio, la cui fama in quegli anni ancora molto forte.
Uno dei momenti più interessanti della conferenza, è legato all’emozionante racconto della committenza che la marchesa conferì a Mattia Preti e al Guercino per realizzare due tele raffiguranti rispettivamente la Crocifissione di S. Pietro (oggi conservata a Grenoble) e una Pietà.
Tale incarico fu conferito dall’Angelelli «sulla base di un progetto iconografico che prevedeva la creazione di due pendants da sistemare accanto alla Crocifissione di Guido Reni», una delle ultime e più ammirate prove dell’artista bolognese.
Purtroppo l’opera del Guercino è andata smarrita.
«Una perdita –come ricorda la dottoressa Curti- che ci priva anche della rara occasione di poter studiare le diverse soluzioni compositive e stilistiche scelte da Mattia e da Guercino per la medesima commissione, soprattutto se si pensa all’interesse che, com’è noto, il calabrese dimostrò verso il pittore di Cento nel corso della sua carriera.»
La conferenza scorre piacevolmente fra dotte disquisizioni, sempre elargite con eleganza e smisurata chiarezza espositiva e suggestive immagini che presentano, di volta in volta, le opere descritte.
Non solo Mattia Preti, però.
Nel corso dell’incontro viene giustamente dato spazio anche alle opere di Gregorio Preti e in particolare alla Flagellazione di Cristo a lungo ritenuta opera di Mattia e, solo di recente, opportunamente assegnata alla mano del fratello Gregorio.
Un’opera, custodita presso l’ospedale di S. Giovanni Calabita a Roma, datata 1645 e in cui si nota «la ripresa dello schema compositivo» della Resurrezione di Cristo di Annibale Carracci.
Un’opera che la nobildonna volle fortissimamente, tanto da sborsare la considerevole somma di ben 520 scudi, pur di farla arrivare a Roma.
Francesca Curti, attraverso la comparazione fra le due opere, mette in risalto tutta una serie di richiami che legano la tela del Preti a quella del Carracci.
Ecco le parole della storica dell’arte in proposito:
«Gregorio imposta la scena secondo lo schema generale realizzato da Annibale con le figure principali al centro contornate da altri personaggi ai lati e sullo sfondo un paesaggio (che nel caso dell’opera romana è un paesaggio urbano) sul quale, in entrambi i dipinti, si staglia in evidenza la figura di un uomo anziano con la barba vestito all’orientale. Per creare un’atmosfera simile si avvale anche degli stessi toni cromatici dal giallo ocra, al terra bruciata, al rosso e al blu oltremare, scegliendo di colorare di rosso le vesti degli aguzzini ai lati e di blu quella del manigoldo al centro proprio come nella tela Angelelli.
Inoltre utilizza per l’aguzzino in armatura al centro della composizione lo stesso elmo a calotta indossato dal soldato che fugge dell’opera di Annibale. Ma soprattutto il pittore sembra aver dedicato particolare attenzione allo studio del corpo di Cristo dell’opera carraccesca perché lo riproduce fedelmente sia nella resa anatomica, in particolare del busto, sia nella posa, concepita da Annibale slanciata verso lo spettatore per dare l’idea dell’ascensione in cielo, che Gregorio riprende conferendogli il medesimo effetto del corpo sbilanciato in avanti, quasi sospeso in aria.»
Alla fine della conferenza i meritati applausi sono inevitabili e premiano la passione e la competenza di questa giovane ricercatrice che da anni setaccia archivi romani e non, per ricostruire la storia del collezionismo delle grandi famiglie nobili, capitolo fondamentale per conoscere ed apprezzare il nostro immenso patrimonio artistico.
Maurizio Carvigno