Chiese di Roma: viaggio tra i capolavori della città
Una passeggiata tra le chiese di Roma. Un invito a perdervi tra le vie del centro storico alla scoperta dei suoi tesori, a ritirarsi tra le mura di cappelle, chiesette e basiliche che maestosamente si affacciano sul caotico via vai cittadino.
In programma oggi da vedere quattro chiese di Roma: Santa Maria della Pace, San Luigi dei Francesi, Sant’Ignazio e Santa Maria del Popolo. Sono tutte distribuite a poca distanza l’una dall’altra, passando per piazza Navona, il Pantheon, via del corso, il cuore della città eterna.
Quante volte camminiamo tra le vie di Roma sfiorando inestimabili capolavori? Quante volte ignoriamo che dietro quei massicci portoni si celi invece l’entrata al paradiso? Io personalmente, in questo tour amatoriale, sono rimasta stupita di quanto poco conosco la mia stessa città, di quante volte l’ho data per scontata e di quante volte purtroppo ho rimandato il nostro incontro.
La prima tappa è Santa Maria della Pace, in via Arco della Pace, a pochi passi da Piazza Navona, con il famoso chiostro del Bramante, piccolo gioiello d’architettura barocca. Si tratta di un luogo poco conosciuto ed ingiustamente ignorato da romani e turisti di passaggio. Pochi sanno infatti dell’esistenza al suo interno di un vero e proprio tesoro nascosto: le Sibille dipinte da Raffaello nel 1514. La dolcezza, la grazia e l’armonia del maestro urbinate così facilmente raggiungibile per chiunque volesse ammirarlo senza mettersi in fila, così scontatamente a portata di mano da lasciare attoniti e senza fiato.
Attraversando piazza Navona e passando per palazzo Madama si arriva in piazza San Luigi dei Francesi dove sorge l’omonima chiesa. Questa, sicuramente più famosa della prima citata, è la chiesa nazionale dei francesi di Roma dal 1589, in perfetto stile barocco, sfarzosamente decorata di meraviglie.
Soprattutto è meta obbligatoria per gli amanti del Caravaggio che qui, tra il 1597-1600, realizzò per la cappella Contarelli tre capolavori assoluti: San Matteo e l’Angelo, La Vocazione di San Matteo ed Il Martirio di San Matteo.
Una piccola folla contemplativa si riunisce di fronte le tele del rivoluzionario maestro che qui, tra queste mura, può essere liberamente ammirato. Vediamo San Matteo e l’angelo, la pala d’altare per cui penò il Merisi, tanto da doverne eseguire una doppia redazione, vero e proprio sforzo di tecnica ed erudizione.
I quadri laterali, con la Vocazione ed il Martirio, mirabili esempi di luci ed ombre che accidentalmente cadono, e questi corpi così incisi, espressi per troppa luce o negati per troppa ombra, che lasciano senza parole. Caravaggio blocca l’azione un secondo prima del suo esplodere, tra tutti i fotogrammi possibili sceglie il più folgorante, immerge san Matteo in uno stanzone smobiliato fiocamente illuminato dalla luce divina, e lui si indica incredulo, sono io. Nel Martirio lo scaglia crudamente, povero vecchio, sull’androne di una chiesa afferrato senza pietà dal carnefice al centro di una composizione teatralmente organizzata dove la luce squarcia le tenebre per rivelare il fondo della realtà umana più drammatica.
Continuando la nostra passeggiata, attraversiamo il Pantheon, dove centinaia di turisti si godono il sole, ed entrando per via del Seminario si arriva direttamente a piazza di Sant’Ignazio, dove troviamo la chiesa dedicata al fondatore dei gesuiti, per me una delle più belle di Roma.
Appena entrati si viene investiti dalla maestosità regale del barocco romano. Mirabolanti decorazioni affrescano il soffitto di mano di Andrea Pozzo, un vero e proprio capolavoro di natura prospettica, a cui si aggiunge la realizzazione della falsa cupola, dove il virtuosismo tecnico dell’artista riesce a superare i limiti della percezione obbiettiva della realtà naturale. Tutta la chiesa è immersa in un religioso silenzio a cui i visitatori si prestano devotamente schiacciati dalla monumentalità architettonica e dalla bellezza dell’intero complesso.
Continuiamo a camminare per via Ripetta, giungendo finalmente all’ultima tappa di questo tour amatoriale, a Piazza del Popolo, dove si innalza la chiesa di Santa Maria del Popolo.
Ci troviamo in uno dei punti nevralgici del centro storio, tra piazzale Flaminio e via del corso, schiere di passanti che si affollano sfiorando distrattamente l’entrata di questa antica basilica sorta nel 1099. Eppure qui troviamo i lavori dei più grandi artisti italiani che l’arte ha consacrato alla fama immortale. La cappella Chigi, realizzata dal Raffaello e restaurata dal Bernini, celebre scrigno di capolavori e la cappella Cerasi, dove sono collocate le tele di Caravaggio e la pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci.
La commissione dei laterali venne affidata a Caravaggio nel 1600 che, per il monsignor Cerasi, tesoriere del papa, realizzò questi due dipinti rappresentanti La Conversione di San Paolo ed il Martirio di San Pietro. Anche qui il Merisi superò la tradizionale iconografia religiosa consegnandoci un Paolo, inerme che vive intimamente e senza turbamento la propria conversione, ed un Pietro, che stoicamente accetta il proprio martirio venendo inchiodato alla croce, investito e scolpito dalla luce.
Abbiamo la fortuna di avere la bellezza accanto a noi, in mezzo a noi. Non tutti possono vantare di entrare in una chiesa e trovarvi Raffaello, Caravaggio, il Carracci, con una schiera di angeli sognanti, cupole dorate e virtuosistiche illusioni. Tra i marmi freddi e le colonne austere si aggiravano persone provenienti da tutto il mondo, a bocca aperta, occhi al cielo, devotamente silenziosi, e tra loro, io, in solenne contemplazione.
Questo articolo non pretende essere una guida turistica, un elenco ridondante e ripetitivo delle meraviglie della città eterna. Sappiamo tutti che Roma è un museo a cielo aperto, una possibilità di bellezza infinita.
Vi ho parlato di una passeggiata informale tra amiche per il centro storico tra piazza Navona e piazza del Popolo, una delle tante. Vi ho parlato da romana, e questo riconosco non è sempre un pregio, perché siamo nati con il peso di un nome e di un passato troppo grande, tanto che a volte è difficile da comprendere e che dovremmo prima di tutto imparare ad amare.
Martina Patrizi