La casa giapponese, una scatola magica ed estetica, conquista anche l’Italia e il MAXXI
Una mostra sulla cultura giapponese, la casa, la storia dell’architettura residenziale dal 1945 al giorno d’oggi, nata da una collaborazione tra il MAXXI, il Barbican Centre di Londra e il MOMAT di Tokyo presenta oltre ottanta progetti di case unifamiliari.
La casa è un luogo dove abitare, la sua architettura ne determina il metabolismo degli abitanti; in Giappone, dove dura una media di 26 anni, è come un continuo rinnovarsi delle cellule. Le case hanno un comportamento, e permettono ai giapponesi di assorbire l’attrito che si crea tra la tradizione e la modernità. L’utilizzo del tatami, il legno, le pareti di carta, la terra, i materiali e la luce. L’architetto è colui a cui ci si affida per creare il luogo dove vivranno le famiglie, i bambini e gli animali, diverso dal concetto italiano di edificio affidato al progetto di un’impresa di costruzioni, ed è per questo che la mostra è anche un’occasione per far passare l’idea di questo rapporto strettissimo tra l’architetto e il committente.
La mostra si sviluppa tra una serie di modellini, fotografie degli originali d’epoca e contemporanee, insieme a video, interviste e spezzoni di film, oltre ad una riproduzione in scala reale 1:1 di una vera abitazione: la House U di Toyo Ito (demolita nel 1976) fatta a ferro di cavallo con un cortile interno di terra, da dove non si vede la città e la luce viene solo dal lucernario. Oppure la particolarissima Pony House dove la proprietaria chiede all’architetto di progettare la sua casa mettendo al centro la vita del suo pony.
Viene così concepita quasi come una ”stalla” moderna, ci sono finestre a cui il pony ha accesso da tutti i livelli della casa e vi si si può affacciare, oltre ad un vasto spazio di terra esterno. Interessante anche la Tower House di Takamitsu Azuma che, volendo vivere in città durante il periodo postbellico, decise di farsi costruire una casa di soli 20mq (era quello che poteva permettersi), per di più su un lotto di forma triangolare: la soluzione è geniale e totalmente efficace, sviluppata in altezza e con moltissima luce.
Oppure la House in a Plum Grove, con ridotte dimensioni, è stata limitata anche dalla scelta di far retrocedere la casa per preservare un gruppetto di pruni già presenti sul lotto. Infine la Roof House per una coppia con bambini: una casa vissuta, uno spazio a cielo aperto, senza parapetto, perché la famiglia era abituata a trascorre la maggior parte del tempo sul tetto.
Senz’altro il percorso è molto interessante non solo per gli esperti nel settore, idee e spunti possono scaturire fuori dopo aver visto gli oltre ottanta progetti; lascia riflettere sul nostro modo di concepire le case, sempre più come contenitori standard e con mobili uguali, senza personalità, senza rispecchiare le incluìinazioni degli abitanti.
Molti altri eventi tematici animeranno i mesi di esposizione: le tre lezioni di scuola di ikebana (18 novembre, 20 gennaio e 10 febbraio) e uno sulla storia del giardino (27 gennaio), un workshop sulla carta washi giapponese e un seminario sulla situazione sismica, sulla quale il Giappone è molto avanti come progetti.
Ospitato, all’interno del Centro Archivi del MAXXI Architettura, è anche Carlo Scarpa e il Giappone fino al 26 febbraio 2017. Scarpa è stato molto in simbiosi con la cultura giapponese, ne ha intriso i suoi lavori e i suoi progetti più famosi. Ma è anche stato riconosciuto in Giappone come maestro e spesso citato nelle riviste, per questo il MAXXI ha voluto dedicargli una parte importante della mostra.
The Japanese House sarà al MAXXI fino al 26 febbraio per poi proseguire al Barbican di Londra dal 23 marzo al 25 giugno, mentre al Modern Art di Tokyo arriverà in estate 2017.
Sara Cacciarini