L’uomo dal fiore in bocca secondo Gabriele Lavia
L’interpretazione di Gabriele Lavia che arriva al Teatro Quirino dal titolo “L’uomo dal fiore in bocca… e non solo“
Roma | Il 6 dicembre ha debuttato al Teatro Quirino L’uomo dal fiore in bocca nell’adattamento di Gabriele Lavia, con Gabriele Lavia, Michele Demaria e Barbara Alesse, scene di Alessandro Camera. Sarà in scena fino al 18 dicembre.
Sinossi in pillole.
L’uomo dal fiore in bocca è un testo teatrale di Pirandello del 1922, breve e di grande forza espressiva. La scena si svolge di notte. Dopo aver perso il treno, un uomo arriva trafelato ad un bar di una cittadina italiana. Si siede ai tavolini sul marciapiede ed incontra l’Uomo dal fiore in bocca, un personaggio improbabile che discute del piacere dell’osservazione della quotidianità degli altri. Ogni tanto dall’angolo della strada appare sua moglie, che pietosa lo osserva e vorrebbe che tornasse a casa. Non capiamo il perché, finché non ci accorgiamo che i discorsi sulla morte e sul tempo vengono da chi ha un tumore: un fiore in bocca. Ecco allora che Pirandello rinnova la tradizione italiana, che parte da Verga con Mastro Don Gesualdo, di trattare precocemente il tema del cancro.
Scenografia imponente e testo diluito.
Lo spettacolo messo in scena da Gabriele Lavia è però diverso. Il testo è allungato con frammenti di novelle che diluiscono il lavoro originale a scapito del ritmo. Diversamente non si potrebbe fare per raggiungere un’ora e mezza di spettacolo. Eppure L’uomo dal fiore in bocca si presta ad una messa in scena più rapida e incalzante. Il testo troverebbe la sua completezza in mezz’ora, come si può notare da varie rese, tra cui quella di Vittorio Gassmann, di Michele Placido, come persino l’esperimento televisivo della BBC del 1930. L’adattamento di Lavia cerca però atmosfere e suggestioni più lente: il luogo diventa una stazione ferroviaria e l’azione si svolge nella sala d’attesa.
La scenografia è spettacolare: la struttura imponente è art nouveau, con le sue travi di metallo intramezzate da vetrate e la cupola industriale. È stata realizzata nei laboratori del Teatro della Pergola ed è alta nove metri. Al centro c’è un grande orologio senza lancette, mentre dall’altro capo delle vetrate un gioco di luci e suoni assordanti mima il passaggio del treno. La moglie dell’Uomo dal fiore in bocca compare come una sagoma al di là delle finestre. Passeggia sotto la pioggia a dirotto e poggia la mano sul vetro, esprimendo col gesto un amore commovente. L’atmosfera è magica, un po’ noir e nebbiosa. Tra questi due spazi, la sala d’aspetto e la banchina che non vediamo, si svolge l’atto unico.
Cosa colpisce la platea.
La voce di Gabriele Lavia non arriva al pubblico e la scelta di un’interpretazione pacata dei dialoghi non aiuta. L’avventore, o “uomo pacifico”, interpretato da Michele Demaria, è l’unico la cui voce non si fa fatica ad ascoltare. Nonostante il suo ruolo secondario, sale con questa qualità a protagonista. La perdita del ritmo è notevole e la conversazione ha pause molto lunghe; si connota spesso di una pesantezza che Pirandello non prevede. Manca l’ironia pirandelliana. Non è una brutta messa in scena e la recitazione di per sé è superba, ma non adatta al caso. La forza di alcuni dialoghi non arriva affatto ad investire il pubblico. Basterebbero dei microfoni. Si può notare per la sala che molti, rinunciando all’ascolto, dormono.