“Radio and Juliet”, da Shakespeare ai Radiohead

Romeo e Giulietta, capolavoro Shakespeariano senza tempo, è sicuramente una tra le opere soggette a rivisitazioni e restyling di ogni genere. 

@Massimiliano Fusco

Audace a tal proposito è la scelta di Edward Clug, direttore e coreografo del Balletto Sloveno di Maribor, di rileggere la vicenda dal punto di vista coreutico in chiave piuttosto insolita, scegliendo le sonorità di una tra le più popolari band inglesi: i Radiohead. Dopo la tournée in Belgio, Grecia, Croazia, Olanda, Portogallo, Serbia, Francia, Israele, Singapore, USA e Corea, martedì 22 e mercoledì 23 marzo, lo spettacolo intitolato “Radio and Juliet” è approdato sul palcoscenico del Teatro Brancaccio di Roma, decisamente gremito nonostante la messa in scena infrasettimanale.

In linea con la scelta di utilizzare il rock alternativo dei Radiohead“Radio and Juliet” si propone sicuramente di rivisitare l’opera di Shakespeare in chiave moderna, proponendo la famosa storia d’amore in un tempo presente che rimanda all’attualità. Sin dal primo momento ciò che colpisce è un’idea di Giulietta lontana anni luce da quella a cui solitamente siamo abituati: la Giulietta di Clug, interpretata dalla danzatrice Tijuana Križman, si presenta in scena in guêpière, sfoderando un sensualità del tutto assente nel testo elisabettiano. Intorno a lei sei uomini in abito scuro, interscambiabili l’uno con l’altro, eccezion fatta per fisionomia e corporeità, protagonisti di quel che resta della trama Shakespeariana. Davvero poco, infatti, è possibile rintracciare dell’opera originale: sul palco si susseguono duelli, passi a due e pezzi coreografici d’insieme che vagamente sembrano rimandare ai personaggi originali, alla peste (individuata presumibilmente tramite alcune mascherine chirurgiche indossate dai danzatori), e infine alla tragica morte dei due protagonisti.
L’allestimento è semplice, quasi scarno. I pezzi coreografici si alternano, infatti, ad alcuni filmati che scorrono sul fondale, guidando lo spettatore all’interno di una casa semi vuota e priva di arredamento nella quale si aggira una Giulietta sola e disincantata. La danza è veloce, secca, scattosa e meccanica, salvo a tratti lasciarsi andare a movimenti più delicati, intimi e sinuosi. La forza espressa dalla presenza maschile, simbolo di un conflitto interiore che sfocia addirittura in alienazione, si contrappone a una sensualità propriamente femminile, fatta di braccia che si muovono leggere e delicate. Nonostante il gesto coreografico cada inesorabilmente su ogni accento musicale, spesso si ha l’impressione che lo stesso non sfrutti appieno le sonorità dei Radiohead, in particolar modo della voce. Del resto la musica della band inglese rischia di accompagnare mestamente lo spettacolo senza forse spiccare come dovrebbe, finendo per non rendere giustizia a una discografia di indubbio successo. 
Se quindi da una parte il coreografo Edward Clug traduce questa storia presentando una moderna visione di Giulietta, una donna che richiama alla memoria amori incompiuti secondo “una sorta di retrospettiva di un amore non realizzato”, dall’altra limita il corpo di ballo delineando una coreografia piuttosto ripetitiva e prevedibile, che poco valorizza i danzatori. Lo spettacolo scorre dunque veloce senza entusiasmare il pubblico (almeno non tutti), ma al tempo stesso senza tradire apparentemente le aspettative di chi, affezionato ai Radiohead, lascia il Brancaccio complessivamente soddisfatto.
Francesca Pantaleo

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