Per Jocker è un “Tetro”, comico pomeriggio a teatro

“Io, Tetro Teatro, arrivo sempre. E sempre al buio.”

Pochi personaggi dei fumetti potrebbero entrare a tutti gli effetti nel teatro. La sagoma disegnata non sempre porta fra le sue linee i presupposti di profondità adatti. Spesso il loro successo è questione di effetti speciali; componenti visive sia sulla carta che al cinema, inesorabilmente prevalenti su figure altrimenti banali. C’è però un caso in cui la vita è edulcorata e trapiantata in un incubo costante. Un luogo in cui il nostro bene ed il nostro male, confusi ed esasperati, sanno farsi specchio dei dubbi più nascosti e terrificanti. Prodotti in fondo naturali, nella loro forma trasposta e distorta sono abbastanza grandi da essere metafore di filosofia; giochi di grigi e assoluti. È il mondo di Batman e della sua nemesi Joker. Quest’ultimo in particolare, in una città fatta di posti, per l’appunto, “tetri”, come un palco a luci spente. Qui Gabriele Linariper la regia di Antonio Sinisi, ci delizia nello spazio accogliente del Teatro Studio Uno di Roma.
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“La pazzia è l’uscita d’emergenza”
Il luogo è una stanza sotterranea, che potrebbe essere scavata fra le umide rovine di un parco divertimenti come in fondo ad una coscienza. Un abisso dove i ruoli si possono invertire, i ricordi affiorare e le mani trasformarsi in altereghi di ombre. C’è sempre la sagoma di un doppio che si proietta contro il muro. Qui Joker si rivela perfetta creatura teatrale, avvolto in una follia che passa per la ragione eroica di Leopardi. Si fonde la tradizione nostrana come un presupposto essenziale per raccontare l’uomo nascosto dietro la risata. È un nichilismo titanico che passa per le melodie stonate di una giostra e i suoi saliscendi emotivi scandiscono la vita di Joker. La sua nascita; la sua nemesi; uno dei suoi crimini più grandi. La sua storia è quella di un uomo medio, un padre. Fin quando, ecco, una “giornata storta” è più che sufficiente a fare del tetro barzellettista un incubo votato a dimostrare la pazzia del respiro di ogni giorno. “I fantasmi che ci danno i ricordi sono pericolosi, allucinati. Se li rinneghiamo, rinneghiamo ogni tipo di razionalità, ma perché no? La pazzia è l’uscita d’emergenza.
Il savoir faire del Joker è una canzone che rimbomba nella sua voce e trascina e lega alla sedia tra il brivido di un confine oltrepassato e il sorriso di una ragione riconosciuta. È un viaggio che Linari sa architettare con la furbizia di un attore dalla creatività mostruosa, in grado di saper costruire le mille facce del personaggio in una scenografia di puro nulla. C’è un microfono appeso alla volta della cantina e un tubo emerge dal centro del pavimento. C’è un telo, una veste. Un gessetto ed un muro. L’essenziale perché siano il corpo e la parola a costruire lo spazio, supportati dal canzonatorio andirivieni delle luci. Una voce duttile si trasforma di volta in volta, a rivelare un nuovo lato della medaglia di cui Batman rappresenta forse l’ultimo opposto, previsto e atteso. La verità però è un’altra e si nasconde nella crociata contro il perbenismo che lo stesso Leopardi aveva intrapreso fino a dannarsi l’anima. È un filo stretto con la forma di un teatro dalla forte introspezione psicologica e Joker, spirito teatrale, vi si muove nell’oscurità di una sala a luci spente. L’attore si smaterializza in un demone antico: “Io, tetro teatro, arrivo sempre. E sempre al buio. […] Questo è il gioco che io fingo di non giocare. Che voi fingete di non vedere.” Come a dire che la follia del personaggio non sia altro che la potenza smascheratrice del palco: quel mettersi ogni volta a confronto con uno specchio e affrontarvi l’opposto che la società trasforma in mostro. Il suo effetto è più che catartico: è un penetrare nella mente e spezzarne la psiche, insegnando al contempo la flessibilità dei mille punti di vista. Andare a teatro, ci ricorda Linari, è di volta in volta una lezione di quella relatività che tanto ci spaventa.
Tetro è ad un tempo un intrattenimento fresco ed un viaggio dall’intenso sapore culturale. Il lavoro di Linari è un esempio di come uno spettacolo dovrebbe presentarsi in questo nuovo secolo: un’entità forte dei risultati di decenni di sperimentazione e avanguardie e non un essere timido, dimentico e spaventato dalle proprie capacità. Speriamo di poter rivedere ancora questo prodotto, in modo che possa raggiungere un più vasto pubblico.


Gabriele Di Donfrancesco
@GabriDDC
Nato a Roma nel 1995 da famiglia italo-guatemalteca, è un cittadino di questo mondo che studia Lingue e Lettere Straniere alla Sapienza. Si è diplomato al liceo classico Aristofane ed ama la cosa pubblica. Vorrebbe aver letto tutto e aspira un giorno ad essere sintetico. Tra le sue passioni troviamo il riciclo, le belle persone, la buona musica, i viaggi low cost, il teatro d'avanguardia e la coerenza.

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