Le tre espressioni del mondo passano per le mani dei Circo Biloba.
Prima della performance al centro della serata del 20 novembre del Teatro Furio Camillo, fra gli ultimi appuntamenti della rassegna Battiti, una curiosa esibizione ha servito da introduzione allo spettacolo Rage Douce. Si tratta di un gruppo di musicisti, i Circo Biloba, abituati ad esibirsi in giro per le strade di città e festival. Stavolta i temi dell’evento, il circo teatro ed il movimento, ben si ritrovavano con il ritmo del loro lavoro. Non sono un esperto di musica e quindi non userò un linguaggio tecnico, ma penso che per i lettori sia più che altro importante immaginare i suoni, non potendo altrimenti ascoltarli. Per questo chiedo perdono a chi ha più competenza di me nel campo, ma è sembrato necessario concedere uno spazio meritato ad un gruppo di ragazzi di talento.
Si inizia con delle percussioni orientali, un gong ed altre presenze. Sono suoni di sabbia e melodie di gocce d’acqua. Poi una batteria ed un contrabbasso. Ne nasce una serenità contornata da un crescendo che nel sottofondo nasconde un respiro angoscioso. Un trauma da cui ci si allontana, forse, come in una scalata o in un procedere per un terreno che rivela entità a tratti danzanti, avvolte dalle nebbie della memoria. E si fa una corsa, quasi un inseguimento per strade battute dal Sole e vie strette, soffocanti. Non è la meta. Si corre, fra negozi e folla; caos di gente che pure è vita e respira nel ritmo, che cresce e cresce fin quando non si stabilizza e si intravedono spiragli di altro. Quanto circondava il cammino è meno fitto, ma di nuovo si rallenta. Cambiano le immagini e si alternano le azioni: un inseguirsi per poi fermarsi, contemplare e fuggire di nuovo o perdersi guardando alle proprie spalle. Ci si concede una danza in una dimensione aperta o ci si siede, più semplicemente, come spettatore, a seguire i passi di altri imperversare davanti ai propri occhi. È come fissare più schermi, a decine, orientati su migliaia di altre figure, in posti diversi; tutti a sfidare il proprio percorso verso un obiettivo che in fondo è lo stesso. Le corde del contrabbasso vibrano, salutate dall’ultimo tocco di percussioni e la prima melodia trova il silenzio della conclusione.
Una delle immagini promozionali della rassegna. |
La seconda parte di questo viaggio sperimentale riprende con lo scuotere dell’aria attraverso dei tubi. Un flauto, subito accompagnato da un richiamo di culture diverse. Questa è la base di originalità dei Circo Biloba. Il contrabbasso, così simbolico di una musica classica occidentale, da grandi palchi e luci eleganti, si fa contrastare dal calore tribale, sfrenato e contemporaneo di una batteria. Interviene allora l’ultimo elemento del trio, la sonorità orientale, armoniosa, che con una diversa filosofia del suono riesce ad unire le parti precedenti. Paesi noti e alieni, moderni come antichi, si risvegliano nella mente all’ascolto di una musica che dimostra di essere, quasi subito, introspezione e colonna sonora di percorsi individuali. Nella terza ed ultima melodia le luci si concentrano e generano un’atmosfera che focalizza nuovamente occhi e pensieri. Richiama, come descriverlo, una progressione di uomini lungo un fiume: un momento storico che si tramuta in marcia. Ma il cammino è intenso, il suo progresso malinconico, tenuto stretto ad una consapevolezza acquisita. L’andamento s’impenna e poi digrada, genera un senso d’attesa per qualcosa di grande e questo arriva. Il suono si getta in un rituale forsennato, come una determinazione forte che abbraccia una missione. Con forza si conclude il nostro racconto musicale: i musicisti si alzano. Sono uomini come viaggiatori, erranti nella propria sonorità, nella quale hanno deciso coordinarsi a vicenda. I loro tre modi di concepire e studiare la musica ci ricordano l’idea di movimento e la sperimentazione dinamica messa in atto dal Teatro Furio Camillo. Così prende avvio una delle ultime serate dell’ormai conclusa rassegna di circo teatro Battiti.
Gabriele Di Donfrancesco