Al Teatro Quirino di Roma il 13 febbraio 2018 il Balletto di Roma ha debuttato con un’originale versione de “Il lago dei cigni” firmata da Fabrizio Monteverde.
Resterà in scena fino a domenica 18 febbraio al Teatro Quirino “Il lago dei Cigni ovvero Il canto”, una produzione del 2014 del Balletto di Roma, coreografia e regia di Fabrizio Monteverde.
L’autore si è liberamente ispirato, da un lato, al celebre capolavoro del balletto classico “Il lago dei cigni” con le musiche di P.I. Čajkoskij dall’altro, all’atto unico di Anton Čechov “Il canto del cigno”. Quindi, questo bellissimo balletto attinge ad entrambe le storie.
“Il lago dei cigni” è una favola senza lieto fine. Il principe Siegfried si innamora, ricambiato, di Odette, la regina dei cigni, che in realtà sono fanciulle vittime dell’incantesimo di un mago. La passione tra i due, però, è ostacolata dagli inganni del mago. Il finale li vede morire entrambi in una tempesta abbattutasi sul lago e risorgere come due splendidi cigni in volo.
Invece, ne “Il canto del cigno” Čechov narra di un attore ormai vecchio e malato che ripercorre la propria carriera in modo struggente.
Il coreografo Monteverde, per questo sorprendente balletto al Teatro Quirino, ha attinto ad entrambe le storie. Il risultato è il racconto di una compagnia decaduta di esperti, “anziani” ballerini che ripercorrono gli atti di un ennesimo e nostalgico “Lago dei cigni”. Lo vogliono mettere in scena quasi disperatamente, “tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo di rimandarne il finale”.
A differenza della versione classica de “il lago di cigni”, Fabrizio Monteverde sembra voler mettere proprio il gruppo al centro del racconto. Le scene d’insieme, tra l’altro, sono quelle che colpiscono di più, nonostante le performance dei primi ballerini siano perfette.
“Il lago dei cigni ovvero Il canto” si accosta con rispetto e creatività alla versione classica del capolavoro della danza.
L’amore e il rispetto per il capolavoro di Čajkoskij è, comunque, palese nella proiezione sullo sfondo di immagini delle coreografie classiche. Ad esempio nel celebre “passo a quattro“, vediamo la coreografia classica proiettata e messa a confronto con un passo a quattro sul palcoscenico realizzato con i movimenti delle braccia.
La scena si apre sui danzatori sdraiati supini. Simulano, con i soli movimenti delle braccia, il collo e il becco dei cigni nel lago. Indossano maschere sul volto e abiti che sembrano stracci sul corpo, forse ad indicare che sono ballerini e ballerine, più che persone. La danza è la loro identità.
Le coreografie così contemporanee sono suggestive e affascinanti. Colpiscono, soprattutto, quelle prive della musica, come un combattimento tra due ballerini della compagnia nel primo atto. Infatti, in alcune scene la musica tace e restano solo i corpi dei bellissimi ballerini, con tutta la loro forza espressiva. Una forza che – come sempre nella danza classica – convive in equilibrio con la leggerezza.
La messa in scena è incantevole ed evocativa. Quando gli anziani ballerini si rivestono dei loro colorati e sontuosi costumi di scena, ritroviamo i loro abiti usurati accumulati in fondo al palcoscenico. Il mucchio ricorda “la Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto. Infatti, nelle note di approfondimento si legge che la protagonista Odette/Odile (cigno bianco/cigno nero) è condannata ad una perenne metamorfosi, cigno e principessa, donna buona e donna crudele. “Metafora di un’arte che non conosce traguardo, cercherà se stessa in un viaggio d’amore tormentato … andrà incontro agli stracci consumati di una vita d’artista con lo spirito bianco di una Venere sempre giovane“.
Stefania Fiducia