Longhi porta la classe operaia in Paradiso a quasi quarant’anni dal film

Dal 22 al 27 maggio al Teatro Argentina è in scena La classe operaia va in Paradiso, adattamento dell’omonimo film di Elio Petri, capolavoro premiato a Cannes nel 1971. Lo spettacolo è diretto da Claudio Longhi sulla drammaturgia di Paolo Di Paolo.

Una delle più straordinarie e fruttuose collaborazioni che ha reso grande il nostro cinema è stata senza dubbio quella tra Petri e Volonté, due intelligenze accomunate da un profondissimo senso civile e dall’urgenza di rappresentare attraverso l’arte quella realtà caustica, contraddittoria e perennemente conflittuale degli anni Settanta.

A ciascuno il suo, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso, Todo modo. Tutti titoli che rimandano subito a un cinema politicamente impegnato, polemico, urgente e per certi aspetti anche lungimirante.

In quegli anni roventi gli intellettuali che amano indagare la realtà non possono che avere come obiettivo polemico quella società capitalista oramai piena di falle. Non possono che dover fare i conti con le naturali contraddizioni del movimento studentesco, con il fallimento umano e sociale del boom economico, con l’alienazione prodotta da un falso benessere foriero di un cambiamento epocale, uno su tutti il crollo della coscienza di classe.

La classe operaia infatti è stata protagonista indiscussa del secolo che abbiamo lasciato alle spalle e Petri ha scelto di analizzarla attraverso un film così vero da riuscire a mettere d’accordo tutti gli opposti. Sindacalisti, industriali, studenti e grandi critici cinematografici, Fofi in prima linea, formarono all’epoca un fronte comune contro il film.

Il cinema di Petri e di Volonté corre sicuramente sul binario dell’impegno politico ma senza nessun intento didattico. L’urgenza infatti è quella di rappresentare il tessuto sociale oramai completamente logorato dal capitalismo, nemico di ogni godimento e appagamento reale.

La classe operaia va in paradiso teatro
Lulù Massa, protagonista del film, è un operaio odiato dai colleghi, unico sostenitore del lavoro a cottimo, autore passivo di una vita priva di reali rapporti sociali. La sua unica necessità è produrre quanto più possibile ma un incidente sul posto di lavoro sarà per lui il seme per sviluppare la coscienza di classe. Alla base del film, d’altronde, c’è il bisogno di muovere la solidarietà dello “spettatore-cittadino” verso l’operaio, rappresentante di un’intera umanità che lotta tutti i giorni con lo stesso problema: la produzione.

La forza di questa messa in scena teatrale sta nell’originalità con cui Longhi e Di Paolo hanno lavorato per non limitarsi a riportare la storia di Lulù Massa.

Un lavoro troppo mimetico avrebbe senza dubbio ridotto la potenzialità dello spettacolo. Infatti l’esclusivo confronto con la pellicola difficilmente avrebbe retto il paragone, sia per l’enorme statura di Petri, dello sceneggiatore Pirro e di Volontè, sia per gli strumenti di cui gode il cinema, e non il teatro, uno su tutti l’uso dei primi piani, abbondantissimi in questo film.

La classe operaia va in paradiso teatro

 

È interessante e intelligente la scelta di far convivere la storia che tutti conosciamo dell’operaio stakanovista con le vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione del film.
Infatti accanto a Lulù, qui interpretato magistralmente da Lino Guanciale, e agli altri personaggi del film, compaiono sulla scena Pirro e il regista, qualche spettatore e un cantastorie.

Figure quindi che vanno al di là della pellicola, ma che restituiscono a chi guarda il modus operandi di Petri e di Pirro, oltre a riportare la nostra memoria all’accoglienza, o forse meglio alla non accoglienza, di cui ha goduto il film.

Riproporre oggi, nella nostra epoca frenetica e priva di ideologie, uno spettacolo che ha come protagonista la defunta classe operaia non è affatto anacronistico. Anzi dietro l’alienazione di Lulù e la frustrazione dei suoi colleghi è possibile riconoscere l’inferno quotidiano di questi nostri anni precari.

Lo spettacolo gode di un cast eccezionale. Lino Guanciale è eccellente nei panni che furono di Volonté, nei movimenti nevrotici dell’operaio alienato. Degna di nota è la bravura di Simone Tangolo così come quella di Filippo Zattini per le musiche suonate direttamente in scena.

Proprio come alla fine del film Lulù racconta un sogno: lui e i suoi compagni sfondano un muro e arrivano in Paradiso. Ma in questo luogo sospeso non c’è che nebbia. Un sogno che ricorda molto il finale di Calderòn di Pasolini, uno sguardo, quindi, disilluso e angosciato, quello di chi sa bene che da quel girone dell’inferno chiamato capitalismo non si potrà uscire.

 

liberamente tratto dal film di Elio Petri
(sceneggiatura Elio Petri e Ugo Pirro)
di Paolo Di Paolo
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
luci Vincenzo Bonaffini
video Riccardo Frati
musiche e arrangiamenti Filippo Zattini
regista assistente Giacomo Pedini
assistente alla regia volontario Daniel Vincenzo Papa De Dios
con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia,
Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini
foto di scena Giuseppe Distefano

 

Diletta Maurizi

Laureata in Filologia moderna, mi definisco appassionatamente curiosa del mondo, in particolar modo di cinema e di teatro.

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