I mostri di Danza Macabra trovano la vittima con cui rappresentare la propria mostruosità e incantano il Quirino.
Il 10 maggio è andata in scena al Teatro Quirino di Roma la prima di Danza Macabra, regia di Luca Ronconi, dal testo di August Strindberg, traduzione di Roberto Alonge, e in scena fino al 22 maggio. Così si conclude la stagione teatrale 2015/2016: portando sul palco il divertimento tenebroso di una mostruosa decadenza. La commedia è prodotta in collaborazione col Teatro Metastasio di Prato, del quale ha aperto la stagione teatrale 2014/2015, e col 57esimo Festival di Spoleto. La prima rappresentazione è andata in scena il 27 giugno 2014 al Teatro Caio Melisso di Spoleto.
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Un faro, uno scoglio e tre creature. A partire da sinistra, Adriana Asti, Giorgio Ferrara e Giovanni Crippa. |
Danza Macabra si svolge nella vampiresca solitudine di un’isola dei mari del Nord. Qui sarà presto costruita una stazione di quarantena, perfetta per una località così tenebrosa. Il palco del Quirino si trasforma allora in un soggiorno e ci porta nella casa di alcuni peculiari abitanti del luogo, il Capitano e Alice. Sono loro i protagonisti del valzer drammatico di Strindberg: una coppia di sposi vicina ai venticinque anni di matrimonio, che per tutti questi non ha fatto altro che circondarsi di solitudine, alienando l’affetto di chiunque sull’isola. Si odiano nell’amore e si divertono nell’odiare e nel fingere la distruzione, architettando costantemente la fine l’uno dell’altro; una recita che vive ogni qual volta si presenti l’occasione di un pubblico. Come i mostri, che senza un mortale da spaventare condurrebbero vite del tutto tranquille, così loro attendono un terzo per poter accendere il proprio teatrale orrore. Kurt entra nella loro noia come una cometa nella gravità di una stella. Si è appena trasferito sulla macabra isola con l’incarico di gestire la futura stazione di quarantena. Sarà morso vampirescamente dall’alito languido e mortifero di quella realtà alienata e non avrà parole per definirne l’orrore, pur accettando ambiguamente una seduta nel loro diabolico soggiorno. Questa è la scenografia pensata da Marco Rossi: un sorprendente incontro di pesanti mobili dalle tonalità scure, rispondenti ad un gusto stanco, da fine età vittoriana. A questi si uniscono letti dalle spalliere di metallo, alte e appuntite come le guglie di una chiesa gotica. I cambi scena sono ottenuti con uno spettacolare movimento dell’intera mobilia, fatta scivolare in qualche modo da un lato all’altro del palco, come bottiglie sul pavimento di una nave in balia delle onde. Le luci, curate da A. J. Weissbard, si posano con un’angosciosa eleganza sullo spazio, risaltando i riflessi delle superfici scure. Ad amalgamare il tutto, troviamo i rintoccanti suoni di Hubert Westkemper.
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“… è arrabbiata con me perché non sono morto ieri.“ |
I colori petrolio e verde stagno dei costumi di Maurizio Galante si uniscono alle tonalità cupe fino al liquido di pareti e materiali e fanno spiccare per contrasto il pallore esasperato di volti e di mani. La recitazione è anch’essa lasciva, dal ritmo spezzato, come un battito cardiaco irregolare e malato, ma mai patetica; semmai ironica e in questo complice, autocosciente della propria simulazione di mostruosità. Il tutto va in scena senza il supporto di microfoni, o almeno noi non ne abbiamo notato l’utilizzo, e questo fa onore ai cali di volume nella voce degli attori. Insomma, non si bara.
Giorgio Ferrara nei panni del Capitano è sempre in movimento: una parata militare ambulante, capace di bloccarsi splendidamente a metà frase, la mandibola muta e spalancata, a simulare un rigor mortis improvviso. Squisitamente sbigottito e affascinato, Giovanni Crippa interpreta con aria decadente il personaggio di Kurt, perno fondamentale del movimento drammatico del testo. Adriana Asti fa sfoggio costante dell’abito di scena e indugia divertita nell’altezzosità dispettosa del suo ruolo, con un fare da Morticia Addams. Non è un caso: tutto in questo spettacolo ammicca al piacere di drammatizzare un mostruoso innocuo.
Si incontra il gusto del pubblico: gli applausi sono duraturi e scroscianti.
Gabriele Di Donfrancesco