La vita di Ada Byron Lovelace è stata rappresentata da Galatea Renzi il 15 e il 16 maggio 2018 al Teatro Vittoria di Roma con “La fata matematica”, per la rassegna “Le donne erediteranno la terra”.
Se non ci fosse stata la “fata” Ada Byron Lovelace, io non avrei potuto scrivere questo articolo con il mio computer. Né voi adesso lo stareste leggendo sul vostro smartphone o il vostro tablet.
La scienziata Ada Byron Lovelace, infatti, è stata la prima programmatrice della Storia. Fu la prima a sognare il computer, l’unione tra fisico e metafisico , tangibile e intangibile.
Valeria Patera è autrice e regista di “La fata matematica”, interessante progetto teatrale che racconta la vita straordinaria di Ada Lovelace.
Lo spettacolo è nato nell’ambito del Progetto Eureka 2018 di Roma Capitale, per far capire che dietro gli strumenti che usiamo quotidianamente ci sono state delle persone rivoluzionarie, che hanno invertito certi dogmi.
Figlia del poeta Lord Byron, Ada Lovelace vive solo 36 anni nella prima metà dell’Ottocento, durante la prima rivoluzione industriale inglese. È dotata di un’eccellente mente matematica e, in un contesto dove neanche esisteva ancora l’elettricità, inventa il software.
Partendo dall’automatizzazione del telaio, la donna intuisce la possibilità di realizzare una macchina, azionata a vapore, in cui trasferire e raccogliere delle informazioni con le schede perforate in modo che potesse effettuare dei calcoli matematici e altre operazioni.
Non lo fa completamente da sola, ma lavora a stretto contatto con un altro matematico, Charles Babbage, il primo a definire Ada Byron Lovelace come la “Fata”.
La tecnologia dell’epoca non è in grado di realizzare ciò che Lovelace e Babbage hanno immaginato. Ma Ada capisce da subito che quell’invenzione cambierà la Storia dell’umanità.
La loro macchina e la loro scoperta innovativa hanno gettato le basi dell’informatica, ispirando lo scienziato Alan Turing per la costruzione del primo computer.
Lo spettacolo “La Fata Matematica” è un viaggio nella vita sofferta della donna e della scienziata Ada Byron Lovelace.
“La fata matematica” è una buona occasione per conoscere questa scienziata, ancora poco nota, sia sul piano personale, che su quello “professionale”. Bene hanno fatto il Teatro Vittoria e Aldo Cazzullo ad inserirlo nella rassegna teatrale “Le donne erediteranno la terra”.
Il personaggio di Ada Lovelace è affascinante e sfaccettato, pieno di contraddizioni. Un’Ada malata ripercorre la sua vita di donna e di scienziata. Si consegna al pubblico con tutta la sua umanità.
La bravissima Galatea Ranzi la interpreta dandone un’immagine molto sofferente, sia con i gesti sia con il tono di voce. A tratti la recitazione può risultare monocorde, nel senso che racconta tutto con lo stesso grado di drammaticità.
Scopriamo il rapporto claustrofobico di Ada con sua madre, Anne Isabella Milbanke, anch’ella matematica. Da lei prenderà l’amore per i numeri, che Ada riuscirà a fare incontrare con la poesia, il mondo del padre,che abbondonò lei e sua madre, poco dopo la sua nascita.
Struggente è il racconto dei sentimenti contraddittori che Ada Lovelace prova per i suoi figli e delle conseguenze della malaria sulla sua salute.
L’allestimento scenico e la regia aiutano lo spettatore a capire la fonte onirica e immaginativa del pensiero di Ada che ha rivoluzionato la matematica, facendo nascere una nuova scienza: quella delle informazioni.
L’allestimento scenico di Valeria Mangiò, insieme alle luci della stessa regista Valeria Patera, sono molto suggestivi. Galatea Ranzi è sempre sola in scena, in una scenografia scarna.
Nel frattempo su teli chiari e leggeri vengono proiettate delle immagini ipnotiche. Aiutano ad immedesimarsi un po’ nel turbinio dei pensieri di Ada Lovelace, che pensa spesso sotto l’effetto di oppio e laudano, prescritte dai medici quando si ammala di cancro.
Babbage, invece, interpretato da Gianluigi Fogaggi, appare solo nei sogni di Ada. Bella è infatti l’immagine di Ada che dorme, mentre vengono proiettati i dialoghi tra Lovelace e Babbage, mentre immaginano, scoprono e inventano insieme.
Questa scelta registica sembra voler collegare le intuizioni di Ada al mondo onirico. La macchina diventa una visione poetica. L’autrice ha scelto di mettere in risalto come Ada Lovelace riuscisse a visualizzare i propri pensieri. Mentre Babbage arrivava fino ad un certo punto, Lovelace andava oltre con l’immaginazione.
Ada credeva che un giorno avremmo capito che matematica e poesia si corrispondono. A guardare le “magie” che fanno oggi i dispositivi che usiamo ogni giorno e che lei sognava, la Fata Matematica sembra averci visto giusto.
Stefania Fiducia