Dodici detenuti e cinque attori hanno portato in scena la spiritualità di Francesco dentro il carcere giudiziario di Regina Coeli.
“Lo spettacolo è il frutto di un lavoro continuo e stabile di ArteStudio dentro il carcere giudiziario romano che prosegue da oltre dieci anni, ma è anche il risultato di un laboratorio scenico dedicato alla figura del santo di Assisi. La misericordia e la pace perseguiti attraverso una ricerca sulla povertà sono i temi raccontati dallo spettacolo che utilizza materiali poetici dello stesso Francesco e sulla sua vita“.
Come in una sorta di Porziuncola, la piccola chiesetta che Francesco riparò dopo la sua vocazione, lo spettacolo messo in scena da ArteStudio si è svolto in una parte della seconda rotonda del carcere.
Cominciamo col dire che quanto è stato messo in scena da Riccardo Vannuccini non è stato semplice da comprendere: poche parole, tantissime immagini in movimento. Ma è tutto voluto. E’ lo stesso regista a spiegarlo: si è voluto ricreare uno spettacolo che strizzasse l’occhio alle “buffonerie di strada”; una performance non convenzionale, fatta, lo ripeto, non di parole quanto di immagini. La travagliata, intensa, dolcissima esperienza spirituale di Francesco si snoda attraverso dei quadri immaginifici in cui vengono rappresentati i punti più salienti del percorso del più umile tra gli umili: il dramma della prigionia a Perugia, da cui Francesco uscirà distrutto ma anche pronto al più grande e più bello dei cambiamenti; la povertà, l’elemosina, l’incontro con Chiara, i viaggi in Oriente, la predica della perfetta letizia, la predica agli uccelli, la malattia sofferta e la morte nel buio della Porziuncola. Pochi testi recitati ci riportano a queste scene, “piccole storie sconclusionate, estatiche, che non intendono rappresentare qualcosa o educare qualcuno, ma propongono semmai un modo di agire, un modo di essere presenti sulla scena come nella vita“.
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Il regista Riccardo Vannuccini |
In questo intento, sembra di cogliere molto del dolcissimo e bellissimo Francesco giullare di Dio di Roberto Rossellini, dove la vita del santo era raccontata, anche in questo caso, per immagini tratte dai malinconici e poetici Fioretti, e dove, anche in questo caso, il regista si avvalse di attori non professionisti.
I detenuti che hanno partecipato allo spettacolo sono riusciti, in questo senso, a trasmettere la vera essenza del messaggio francescano, fatta di movimenti, seri e giocosi, mai casuali.
E’ un teatro coraggioso, forte, che vuole avvicinare due realtà apparentemente lontane fra loro: quella vissuta da Francesco, un iter spirituale che dalla terra arriva cantando sino a Dio, e quella dei detenuti che pure si prestano a questo “gioco”, mettendo in scena la follia scanzonata del poverello d’Assisi che nelle piazze raccontava, ridendo, il messaggio dei Vangeli.
Pure, punti di contatto ve ne sono: la detenzione di Francesco e la sua rinascita dopo aver toccato il fondo nelle buie carceri di Perugia. Una rinascita che lo portò ad abbracciare e a seguire un altro re, ad abbandonare l’armatura per indossare un ruvido saio, a gettare la spada per impugnare la croce. E proprio da Francesco si può ripartire, proprio dalla detenzione in Regina Coeli, si può rinascere, proprio portando in scena un santo che prima di tutto fu un uomo, si può dare inizio al cambiamento.
Uno degli attori-detenuti, proprio quel giorno, ha saputo di essere stato condannato a trent’anni di carcere. Pure, ha deciso lo stesso di presentarsi sulla scena e portare avanti l’impegno preso. Per se stesso e per i suoi compagni. Un messaggio importante e fondamentale di come sia possibile ricominciare, semplicemente, da uno spettacolo teatrale.
E’ un teatro coraggioso, forte, che vuole avvicinare due realtà apparentemente lontane fra loro: quella vissuta da Francesco, un iter spirituale che dalla terra arriva cantando sino a Dio, e quella dei detenuti che pure si prestano a questo “gioco”, mettendo in scena la follia scanzonata del poverello d’Assisi che nelle piazze raccontava, ridendo, il messaggio dei Vangeli.
Pure, punti di contatto ve ne sono: la detenzione di Francesco e la sua rinascita dopo aver toccato il fondo nelle buie carceri di Perugia. Una rinascita che lo portò ad abbracciare e a seguire un altro re, ad abbandonare l’armatura per indossare un ruvido saio, a gettare la spada per impugnare la croce. E proprio da Francesco si può ripartire, proprio dalla detenzione in Regina Coeli, si può rinascere, proprio portando in scena un santo che prima di tutto fu un uomo, si può dare inizio al cambiamento.
Uno degli attori-detenuti, proprio quel giorno, ha saputo di essere stato condannato a trent’anni di carcere. Pure, ha deciso lo stesso di presentarsi sulla scena e portare avanti l’impegno preso. Per se stesso e per i suoi compagni. Un messaggio importante e fondamentale di come sia possibile ricominciare, semplicemente, da uno spettacolo teatrale.
Chiara Amati