Quando Lucenzio ti dice che adesso si ispirerà a Jesus Christ Superstar per la parte, capisci che è un buono spettacolo.
Shakespeare non è certo una novità per il teatro, né tanto meno lo è la volontà di riadattarlo ogni volta ai tempi correnti, alla brezza che soffia oltreoceano, all’eco di storie diverse. Non è nemmeno un’eresia dire che di buoni Shakespeare in scena ce ne siano stati effettivamente pochi. Così questa Bisbetica al Teatro Quirino, regia di Cristina Pezzoli, con Nancy Brilli, non aveva fatto sperare per il meglio. Ecco il racconto di come ci ha sorpreso.
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La grande coreografia del banchetto finale |
Il metateatro nel metateatro immaginato dallo stesso Shakespeare, così si potrebbe riassumere la scelta di regia. D’altronde che ci si poteva aspettare da una compagnia che si chiama La Pirandelliana? Nel lavoro del bardo un ubriaco svenuto, Sly, viene riccamente vestito e messo davanti ad una rappresentazione, la Bisbetica Domata, per l’appunto. In questo caso, Nancy e gli altri interpretano se stessi come attori di una produzione che fa acqua da tutte le parti. Per carenza di personale, tagliano il copione shakespeariano e si arrangiano nella prova delle scene, alternandole ai propri retroscena. Si gioca: le trame personali si sovrappongono alla realtà dello spettacolo che si preparano a rappresentare, nella confusione vivace di un lavoro in corso. Va però detto che la commedia fatica ad ingranare nei primi trenta minuti. Il pubblico è freddo ed è palpabile il rischio di scadere nel banale, attizzando un senso amaro, di cattivo gusto. Lo stavamo odiando.
Può darsi che fosse tutto calcolato. Forse era una fase necessaria per poter godere del resto, un po’ come nella dialettica idealista. Perché all’improvviso sono partite le musiche, Petruccio si è tolto la camicia e Caterina la Bisbetica l’ha tenuto a bada in un gioco di battute rappate, inventate di sana pianta. Quasi imbarazzanti, se non fosse che, con arte in fondo shakesperiana, riescano a replicare quella sonorità parlata del bardo, uccisa dalla traduzione. Le nuove rime di Stefania Bertola funzionano perfettamente in queste parentesi musicali, per poi mantenere il ritmo e la godibilità per il resto dello spettacolo. Questo è il momento che cambia tutto: da qui in poi c’è carattere, originalità. Diventa un lavoro compiuto, sebbene viva dei propri momenti di crollo. Nel suo esperimento si guadagna una menzione al ricordo. Da qui in poi è un crescendo di quella follia che tanto ricerchiamo sulla scena, come capacità di osare sapendolo fare. Si va da un Lucenzio che decide di recitare in un modo che gli sembra “classico”, alla Jesus Christ Superstar, ad una Nancy che no, proprio non riesce a farsi andar bene la sottomissione della Bisbetica. Si mischiano tante citazioni musicali e le voci degli attori spezzano il dialogo cantando all’improvviso con splendido effetto. Questo linguaggio sciolto, movimentato, è abbattuto in parte dal ricorso ad alcuni cammeo dialettali, ma può contare su una ben curata memoria ed una buona misura comunicativa nella recitazione della compagnia. A creare l’effetto di un ritmo trascinante, del via vai delle prove e della storia, è una scenografia versatile, di giganti scritte illuminate che scendono dal soffitto. Piramidi di mobili scivolano in scena dal buio delle quinte; si spezza il fondo per creare entrate e le pile cubiche ai lati sono una riserva inesauribile di sedute e finestre segrete. Unica pecca, il sonoro dei microfoni, che possiamo pure ammettere per motivi di acustica, ma che il verbo del Teatro accetta storcendo gravemente il naso.
Nancy Brilli si conferma un’interprete duttile, dotata di una certa autoironia e perfetta nei momenti più musicali. Eppure è Stefano Annoni a conquistare la nostra attenzione. Giovane Lucenzio, la sua recitazione è carica, disinvolta; la voce forte e bella la presenza scenica. Matteo Cremon spicca nei panni di Petruccio per la sua comunicabilità e la capacità di giocare con l’attenzione del pubblico. Sornione e divertito, la sua performance è fra i fili conduttori della piacevolezza dello spettacolo. Per ultimo, una lode va rivolta alla potenza vocale di Anna Vinci, espressa appieno sul finale del banchetto mentre è nel suo nero costume di vedova.
Gabriele Di Donfrancesco
@GabriDDC