Una bionda Carmen sotto il cielo di Ostia Antica con la regia di Amodio
Il balletto di Amedeo Amodio è una reinterpretazione dell’omonima opera lirica di Bizet, da cui riprende le musiche, e del romanzo di Merimée. In scena l’étoile Eleonora Abbagnato (Carmen), Amilcar Moret (Don José), Giacomo Luci (Escamillo) e Giorgia Calenda (Micaela). Le scene e i costumi sono di Luisa Spinatelli.
Il balletto aveva debuttato nel 1995 per Aterballetto ed era ritornato ancora nel 2014 e nel 2015. Lo ritroviamo nell’allestimento di questo 22 luglio 2017 con un’unica serata all’interno del Festival Il mito e il sogno di Ostia Antica.
Nella versione in due atti di Amodio gli attori hanno appena finito di mettere in scena la Carmen. Quando dietro le quinte entra una giovane venditrice di sigari, la dimensione del teatro si sfalda e i teatranti scivolano senza esserne coscienti in una seconda replica del dramma.
Così Carmen si innamora di nuovo del sergente Don José e respinge Micaela, che già l’aveva conquistato. Nella sua vorticante e dionisiaca sensualità inghiotte l’amante in un cammino di violenza ed erotismo. In fuga nel chiassoso mondo gitano, Carmen tradisce José con il torero Escamillo, firmando la sua prossima morte. Tuttavia anche Don José ha i suoi ripensamenti.
I costumi sono leggeri… poco fanno per contenere la sensualità dei protagonisti
Non bisogna aspettarsi l’improvviso sfoggio di colori spagnoleggianti dalla Carmen di Amodio. Le gigantesche gonne e i ventagli, come il carminio delle luci, sono tutti elementi che sfuggono dall’approccio di tinte più blande e gonne minute di Amodio. Il bianco e il nero si alternano sovrani sullo sfondo. I costumi sono leggeri, un po’ ammiccano al classico Broadway, ma poco fanno per contenere la sensualità dei protagonisti.
La regia elimina il rosso dalla scena e lo fa ricomparire trasformandolo in un dettaglio. E’ una rosa che scivola da una mano, un foulard da marinaio preso come strumento di seduzione, il grande scialle della Carmen. La scenografia minimalista si fa metateatrale: la sistemano a vista i tecnici e nasconde un secondo ambiente.
I corpi si sfidano a duello in rapporti d’amore
Le scene di gruppo sono allegre e abbastanza coordinate: marinai con le ragazze, gitani con gitane. La tensione erotica, per nulla velata, circonda i corpi e trova il suo culmine nei duetti tra Abbagnato e Moret, Moret e Calenda, Luci e Abbagnato.
Il primo atto è il grande palcoscenico dei movimenti corali, mentre è il secondo a proporre una maggiore presa sui protagonisti, con più fluidità e coerenza tra le scene. Cattura il ritmo di aperture e chiusure, sistole e diastole, di corpi dispersi o caricanti improvvise grazie nello spazio. I gesti e le pose si contraggono, gonfie nella perfezione muscolare ma morbide dell’armonia della danza. Gli opposti si sfidano a duello in rapporti d’amore, le mani si sfiorano e si perdono in arpeggi spagnoleggianti.
Abbagnato si riconferma nella sua abilità di Carmen. La sua fisicità è guizzante, la sua violenza è inscritta in una coreografia tagliente, ma alla morte della Carmen Amodio non dà alcuno spazio. Abbagnato si fonde con la massiccia virilità del moro Moret. Lui ora pende da lei ora l’afferra ora avanza trasfigurato senza toglierle lo sguardo di dosso. La loro danza è scintillante e si armonizzano a vicenda.
Calenda stuzzica la curiosità: da lei traspaiono bene dolcezza e nostalgia di un amore rubato. Luci carica il suo torero di lasciva e appropriata vanagloria. Partecipa sul finale ad una suggestiva alchimia di corpi come amante della Carmen.
Grande gala di saluti al momento degli scroscianti applausi.
Gabriele Di Donfrancesco