L’incantevole Teatro India ha ospitato per tre serate (19-20-21/10) uno spettacolo toccante, emozionante e vero: “Il Grande Male”. La scenografia che troviamo sul palco ci catapulta già in un’atmosfera angosciosa, che gli attori di lì a poco porteranno sul palco. Un telo trasparente che fungerà poi da schermo, dove vedremo proiettati dei filmati e delle notizie fondamentali, vuole dare l’impressione di distacco, di passato. I fatti che vedremo poi in scena sono tanto lontani quanto vicini a noi.
Sinossi:“Berlino, 1921. Lo studente armeno Soghomon Tehlirian è sotto processo per aver ucciso con un colpo di pistola Talaat Pasha, uno degli organizzatori del genocidio armeno, rifugiato nel 1919 in Germania sotto falso nome, per sfuggire ad una condanna a morte per “crimine di lesa umanità” a danno delle popolazione armene residenti nell’Impero Ottomano.Dopo due giorni di processo è Talaat – del quale vengono ricostruite le atroci gesta e attraverso le drammatiche rivelazioni dei sopravvissuti chiamati a deporre – ad essere condannato moralmente: le prove a suo carico sono talmente terrificanti che Tehlirian viene assolto per l’omicidio da lui compiuto.”
Come tutti sanno, la storia è destinata a ripetersi pochi anni dopo con il genocidio degli ebrei che noi tutti ricordiamo, ancor più di quello armeno. Lo spettacolo si svolge riproducendo il processo a Tehlirian, ma dopo poco si capisce che l’attenzione non è più sull’uomo che ha visto le atroci gesta di Talaat e del suo governo, bensì su Talaat stesso. La splendida scrittura e direzione di Sarghis Galstyan, che in più interpreta proprio Tehlirian, è riuscita ad incutere la giusta ansia ed il malessere di questi fatti che si trascinano ancora oggi dietro di noi.
È un palcoscenico già visto, ma in qualche modo “nuovo” per come vengono ricordate queste persone, che davanti alla morte violenta sono tutte uguali, uomini, donne e bambini. Siamo davanti ad un uomo folle come Talaat che, interpretato dal meraviglioso Stefano Ambrogi, ci fa odiare ancora di più questo personaggio. La maestria di questo cast sta nel rendere tutto reale come se questi interpreti avessero vissuto davvero il massacro di quegli anni.
La rappresentazione funziona benissimo grazie alla scenografia (di Gianluca Amodio), la sceneggiatura (di Sarghis Galstyan), le musiche (di Jonis Bascir) e i costumi (di Matella Rabani). La compagnia “InContro Verso” ha capito che era una storia che doveva essere raccontata perché troppe volte dimenticata ingiustamente.
Il linguaggio e i dialoghi degli attori sono pungenti e mirati a tirar fuori le personalità di ogni personaggio, per aiutare coloro che non conoscono a fondo la storia a comprenderla. Due, in particolare, sono i momenti di assoluta bellezza durante lo spettacolo: il primo è dato dal “balletto” che rappresenta il genocidio ed i massacri e avviene senza armi in scena. Capiamo che sta accadendo qualcosa di violento dai movimenti degli attori, che raffigurano la guerra accompagnati da una musica aspra e tenebrosa. Il secondo momento è rappresentato dall’ultima scena dove il teatro si riempie di foto dei veri protagonisti di questo orrore. I veri volti delle donne, dei bambini, degli uomini e degli anziani che sono stati realmente strappati alla vita per le follie di un uomo.
Il teatro deve essere veicolo di storie che ci facciano comprendere il passato, forse a volte molto di più dei banchi di scuola. L’impatto di questo spettacolo ci fa memorizzare date, avvenimenti e nomi che, forse se costretti a studiare per un esame, non avremmo mai imparato così bene. Quando lo spettacolo riesce a lasciarti dentro un’emozione che si ripercuote in te per giorni, mesi e anni vuol dire che ha fatto il suo lavoro veramente bene.
Elena Lazzari