Le ingerenze della Santa Sede negli affari interni del Campidoglio mettono in crisi i rapporti tra Stato e Chiesa. E per ora gli unici fondi sbloccati per il Giubileo sono i 30 milioni di euro dei romani, ottenuti dal Campidoglio proprio il giorno delle dimissioni del “Marziano” e sui quali c’è sperequazione.
I rapporti tra Stato e Chiesa non sono materia facile. Ma siamo autorizzati a pensare, perlomeno dallo scorso mese di marzo, giorni in cui la Santa Sede annunciava il Giubileo Straordinario, che l’ipertrofia politica del Vaticano a spese perlomeno della Capitale, costituisca un dato certo. D’altra parte come negare il sospetto che questo Giubileo fosse motivato dalla malcelata intenzione di una riassegnazione di prestigio alla città, attaccata anche dai giornali stranieri a causa delle sue criticità più evidenti: è dominata dal malaffare, i trasporti sono in crisi, la sporcizia è ovunque.
Durante il Giubileo, si sa, i fedeli ottengono la possibilità di essere perdonati per i peccati fatti negli anni precedenti, ma solo nel caso compiano alcune pratiche o riti. Come quelli che probabilmente e a più riprese, sono stati invocati da vari organi ecclesiastici, a partire dalla stampa vaticana fino alla CEI, al fine di redimere l’amministrazione Marino dall’inefficienza; dei graditi passi indietro.
Si perché dovevano averne già fin sopra i capelli in Vaticano quando a luglio scorso l’Osservatore Romano fotografò così il disastro dell’aeroporto di Fiumicino: “Fiumicino ultima frontiera. L’ennesimo nuovo capitolo della lunga crisi che sta soffocando la città di Roma”. E poi la voce grossa di chi fa propaganda dell’arcivescovo Rino Fisichella, incaricato per il Giubileo, che invoca “una scossa che risollevi Roma dalle macerie. Noi siamo pronti anche Roma lo sarà”.
E ancora: le recenti anticipazioni della lettera aperta del cardinale Agostino Vallini, vicario di Papa Francesco per la diocesi di Roma, che propugna la “formazione di una nuova classe dirigente nella politica”. Per non parlare ancora dell’Osservatore Romano, quando a Sindaco appena caduto (dimissioni sulle quali pesa come un macigno anche la “scomunica” di Papa Francesco che ha smentito di aver invitato Marino all’Incontro Mondiale delle Famiglie di Philadelphia) scrisse: “Ora la Capitale, a meno di due mesi dall’inizio del Giubileo, ha la certezza solo delle proprie macerie”. Manco ci fosse un candidato “Vaticano” alla poltrona di sindaco di Roma, salvo poi leggere sui principali quotidiani che “nei sacri palazzi si lavora già a una possibile candidatura dell’eurodeputato NCD, Alfredo Antoniozzi, alla guida del Campidoglio”
Insomma non bisogna essere dei “Giolitti”per capire che qualcosa non va nelle corrette relazioni tra Stato e Chiesa. Certo, la situazione di Roma è drammatica e Ignazio Marino ha combinato troppi pasticci. Ma nessuno si è alzato dai banchi di governo o dalle aule parlamentari per spiegare a cardinali e vescovi che ciò di cui sopra è inerente ad affari interni italiani.
Eppure di favori da parte dello Stato Italiano la Città del Vaticano dovrebbe essere sazia. I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati, per la maggior parte, dai Patti Lateranensi del 1929 e si compongono di due parti. La prima è un Trattato Internazionale: la Santa Sede riconosce lo Stato Italiano con Roma capitale e si vede riconosciuta la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano. E’ prevista una convenzione finanziaria, con cui l’Italia si impegna a pagare al Pontefice una indennità, come riparazione per aver perso lo Stato Pontificio. La seconda parte è costituita dal Concordato, riformato nel 1984 nel quale, fra le varie, si specifica che la religione cattolica non è più la sola religione di stato. Viene introdotto l’8 per mille, il meccanismo attraverso il quale si può devolvere quella percentuale di gettito Irpef alla Chiesa cattolica. Inoltre la maggior parte degli immobili di proprietà della Chiesa sono attualmente esenti da Imu e Tasi.
Peraltro gli unici fondi per il giubileo straordinario sono i 30 milioni (di soldi dei romani) sbloccati dal Campidoglio proprio il giorno delle dimissioni di Marino. Di questi, 9 milioni verranno utilizzati per manutenzione stradale; si tratterà di appianare le buche e rifare l’asfalto di via del Mascherino e di via Nazionale. Tre milioni, invece, verranno destinati all’Ama. Altri quattro milioni serviranno per potenziare l’illuminazione pubblica, mentre i restanti 14 milioni, invece, serviranno per la fondamentale manutenzione dei mezzi pubblici. Pochi, comunque, per estendere i lavori su tutti i treni che viaggiano sulle principali linee, non solo la metro A e B ma anche la Roma-Lido e la Roma-Viterbo.
In questa situazione è facile pensare soprattutto ad un Giubileo che vedrà i pellegrini godere della scenografia privilegiata della Roma di serie A, quella del centro e della vicinanza alle linee di trasporto finanziate ed efficienti, dirottando così fondi e consumatori lontano dalle periferie, continuamente protagoniste dei proclami della politica e del Santo Padre, ma nei fatti dimenticata quasi a vergognarsene.