Lemmi fantastici e come salvarli
È ormai una settimana che comincio ad accusare sintomi allergici e tic nervosi senza sapere bene quale sia la loro origine.
L’antistaminico si sta velocemente rivelando inefficace, probabilmente tutto questo è un effetto psicosomatico dovuto a stress e alterazione della percezione realtà-immaginazione.
Solo ora mi rendo conto di cosa si tratti davvero, di quale sia il fattore scatenante che sta mietendo anticorpi, difese immunitarie, globuli bianchi, piastrine, neuroni e chi più ne ha, più ne metta.
Quella parola, quella bella parola che in tanti ultimamente si stanno affannando a utilizzare, che dico, a SFRUTTARE! La vedo scritta ovunque, spacciata come pillola curativa di una febbre che non esiste e che ormai è diventata un blob fagocitante. Dove mi giro, c’è lei. Dove penso di trovare un angolo di serenità, ecco che sbuca col suo sguardo da bestia deflorata della sua dignità per svolgere un lavoro infame.
Perché è questo che è successo: la parola “Referendum” è comparsa troppe volte in quest’ultimo periodo e sta accumulando tutto il lerciume che si deposita tra le fughe di Facebook e Twitter, sta implorando pietà e non vuole più essere maldestramente usata da chiunque per poter garantire diritto di libera espressione. Come quando si ripete continuamente una parola nella propria testa e lentamente si svuota di significato, sta succedendo esattamente questo e il mio corpo cerca di comunicarmelo. Presto la parola succitata diventerà un semplice grumo di lettere che non porterà con sé più alcun senso compiuto, diventerà un mero contenitore, un guscio vuoto di un animale che ormai è diventato materia primaria per un brodo di infima qualità, servito nei peggiori bar di Caracas.
Per questo mi trovo in questo momento a scrivere in difesa di questo povero lemma, di questa fragile ma bicentenaria creatura che esiste esclusivamente in un universo creato a immagine e somiglianza dell’essere umano, di questa povera parola che protrae la sua esistenza dall’epoca in cui tronfi cimieri sormontavano le teste delle guardie romane, ormai schiavizzata impunemente da chiunque si sia sentito in dovere di dare il proprio contributo, per quanto non espressamente richiesto.
Propongo di salvaguardare la veridicità, la credibilità di tale parola lasciandola riposare per qualche giorno senza mai nominarla o, in alternativa, di darle un soprannome che non costituisca in un suo diretto richiamo fonetico, al fine di lasciare che la sua convalescenza prosegua senza intoppi e che, una volta interamente rimessasi in sesto, possa recuperare il suo completo senso compiuto e stimolare al meglio quelle porzioni di cervello relative al rispetto, linguistico e non solo, e alla costruzione corretta di frasi. Lasciamo che essa si riprenda dall’orrore di cui è stata violentemente intrisa e che la sua esistenza torni a proseguire serenamente, al pari di parole come “Calcestruzzo”, “Plafoniera” o “Simmenthal”.
In attesa del suo sfavillante ritorno, chiamiamolo PINA.
La Pina Costituzionale.
Fa schifo, vero? Ma è proprio quello che si ottiene nel momento in cui si arriva a sfibrare un concetto dopo averlo martoriato impunemente e senza ritegno con la scusa di dover esprimere qualcosa che, guarda caso, è già stato detto un numero incalcolabile di volte.
Beccatevi la Pina, adesso.
Questa è una campagna di sensibilizzazione linguistica sull’abuso coatto di parole che il più delle volte non ci competono per via di diversi fattori, quali:
[dt_list style=”1″ bullet_position=”middle” dividers=”true”][dt_list_item image=””]Assente o parziale padronanza del mero significato di tale parola;[/dt_list_item][dt_list_item image=””]Utilizzo improprio di tale parole per via del punto 1;[/dt_list_item][dt_list_item image=””]Bisogno incontrollato di fornire la propria opinione ben lungi dall’aver correttamente compreso il contesto entro cui tale parola malauguratamente compare;[/dt_list_item][dt_list_item image=””]Totale assenza di pensiero coerente dietro ogni pensiero “libero” che includa la Pina.[/dt_list_item]
Tuni Laurenti