L’Erasmus è un progetto che riscuote sempre più successo tra i giovani studenti europei e che fa aprire una finestra sul mondo.
Tra i numerosi progetti europei volti all’intercultura e alla cooperazione internazionale, il progetto Erasmus + è senz’altro uno dei meglio riusciti. Tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta, (quasi) tutti gli studenti universitari sognano di farlo e tutti conosciamo almeno un amico, parente o conoscente che è dall’altra parte d’Europa per prendere parte all’iniziativa. Ma, in realtà, cos’è l’Erasmus?
Spiegarlo è facilissimo. Prendete studenti di 33 paesi (28 dell’UE più quelli dell’Islanda, del Liechtenstein, della Norvegia, della Svizzera e della Turchia) e aggiungeteli a quelli di molte altre parti del mondo che hanno aderito ad altri progetti di mobilità internazionale. Prendete tutte queste culture, i diversi modi di divertirsi, di relazionarsi con gli altri, di vivere, di fare umorismo e di cucinare. Prendete gli accenti che tradiscono la propria nazionalità, il background politico ed economico del paese di provenienza e il diverso grado d’istruzione provveduto dai sistemi scolastici. Prendete tanta voglia di riscoprirsi, di mettersi alla prova, di evadere dalla routine e di testare i propri limiti. Ma soprattutto, aggiungete un’illimitata voglia di confrontarsi su tutti i lati precedentemente esposti. Prendete tutto ciò e scekerate con vigore: il cocktail che vi uscirà fuori è, più o meno, quel che l’Erasmus rappresenta per chi lo vive.
Un uragano di emozioni, un’ondata di serenità che interrompe la solita vita di tutti i giorni, una bolla rosa in cui si può essere chiunque si vuole senza sentirsi mai giudicati: ecco cos’è. È un sacrificare spesso la buona media di voti che si ha in Italia per imparare altre aspetti della vita che non si possono di certo apprendere dai libri di testo o nella biblioteca di facoltà. È un ricominciare da zero. È un cambiare inevitabilmente e permanentemente la propria personalità o tratti di essa. È un addio doloroso, sia quando si lasciano gli affetti di una vita per fare il famoso salto nel vuoto e, allo stesso modo, quando bisogna poi salutare le persone con le quali si è condiviso mille avventure. È un vantare quelle tradizioni nazionali che gonfiano tanto il petto d’orgoglio, senza però rifiutarsi di accogliere quelle altrui.
Insomma, è un’esperienza che punta tutto sulla diversità intesa come arricchimento personale e professionale. Ed è proprio quando togliamo le mani da davanti gli occhi e mettiamo in discussione le nostre certezze che iniziamo a capire una cosa fondamentale: in realtà non sappiamo nulla. Se provassimo a dare una chance ad altre cucine, capiremmo che quella italiana è senz’altro buona, ma non è l’unica degna di essere presa in considerazione. Se provassimo ad aprirci anche alle culture più lontane da noi, scopriremmo che nessuno ci vieta di ridere delle nostre differenze, invece che criticarle a distanza. Se provassimo a parlare dei stereotipi e dei temi più ostici con le nazionalità direttamente interessate, potremmo avere l’occasione di sentire la loro versione della storia e metterla a paragone con la nostra.
Fino ad ora sembra tutto idilliaco, una sorta di Eden dove africani, americani ed europei passeggiano nudi tenendosi mano nella mano. Il sogno di ogni sessantottino, per farla breve. In realtà, questo mix disomogeneo di nazionalità e culture non è sempre perfetto, semmai il contrario. A volte, infatti, fa fatica ad ingranare viste le difficoltà di comunicazione: gli enunciati spesso sgrammaticati o l’uso improprio del lessico di una lingua diversa da quella madre possono portare a curiosi fraintendimenti, così come le battute su eventi storici e cliché possono spesso dare il via a battibecchi e occhiate di fuoco. Ma come l’amore, anche le amicizie interculturali non sono belle se non sono litigarelle, e alla fine passano sempre in cavalleria come “l’ennesima discussione tra questo e quel popolo”.
Voglio dire, chi siamo noi per arginare l’eterna lotta storica, artistica e culinaria tra Italia e Francia? O per smentire il famoso rigore tedesco? Come possiamo permetterci di decidere chi tra Belgio, Germania e Irlanda produce la migliore birra in Europa? O tra Svizzera e Belgio, se parliamo di cioccolata?
Semplicemente non possiamo, semplicemente non siamo niente di speciale. Siamo solo persone innamorate delle realtà a noi sconosciute, delle terre inesplorate e delle lingue mai sentire prima. Siamo soltanto studenti in cerca di imparare qualcosa che va oltre i libri di testo, oltre la sessione estiva e oltre il compito della fila B che è sempre più facile di quello della A. Siamo semplicemente giovani la cui vita sta cambiando inevitabilmente senza che ce ne siamo nemmeno accorti. In poche parole, siamo semplicemente studenti Erasmus.
Federica Sabatucci
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